Milano, 25 gennaio 2021 - Cinque anni fa esatti l'ultimo segnale, un messaggio sms mandato alle 19.41 alla fidanzata in Ucraina. Poi il rapimento, il massacro e la morte di Giulio Regeni, il ricercatore triestino ucciso in circostanze (sempre meno) misteriose al Cairo, in Egitto. Il 25 gennaio 2016 è l'ultimo giorno da cittadino libero per l'allora 28enne Regeni il cui corpo senza vita viene ritrovato il 3 febbraio in una strada della capitale egiziana con evidenti segni di una terribile violenza
LA TORTURA
Le ossa sono quasi tutte spezzate, tagli ed ecchimosi non si contano, sulla pelle sono incise lettere dell'alfabeto con una lama affilata. Per molti è quella la firma della polizia egiziana. Il cadavere viene trovato vicino a un carcere dei servizi segreti. Il corpo è di fatto irriconoscibile, solo la madre distinguerà i tratti del figlio da un particolare, la punta del naso. L'indignazione non solo in Italia ma in tutto il mondo, specialmente negli ambienti accademici, è massima ma il Governo egiziano di al Sisi alza una cortina fumogena che ancora resiste, provocando tensione diplomatiche senza precedenti tra Italia ed Egitto
LE INDAGINI
Cosa è successo in quella maledetta settimana? Le indagini locali sono superficiali e lente e portano a incriminare una banda di malviventi uccisi dalla polizia in un conflitto a fuoco. Sarebbero stati loro, questa l'ipotesi ad aver rapito il giovane italiano per ottenere un riscatto. Il castello accusatorio si sgretola presto come neve al sole, sebbene ribadito ancora pochi giorni fa dalle autorità egiziana, rivelando l'impronta di un depistaggio. Prima ancora si vaneggia attorno alla pista dello spaccio di droga e a quella sessuale. La collaborazione con gli inquirenti italiani si dimostra fragile e poco credibile nei tempi di reazione e nella messa a disposizione degli atti. Anzi, spariscono videoriprese utili all'inchiesta e vengono negati tabulati telefonici. Medici italiani ed egiziani procedono a due diverse autopsie.
lL MOVENTE DEL DELITTO
Emerge chiaro da subito che l'omicidio ha a che fare con le ricerche di Regeni in un paese di fatto governato da un dittatore. L'italiano sta svolgendo un dottorato di ricerca sul grado di libertà dei sindacati egiziani, in particolar modo su quello dei lavoratori ambulanti della capitale in un clima politico di altissima tensione e di continui sospetti. Il capo degli ambulanti denuncia il ricercatore alla polizia che inizia a indagare sui suoi spostamenti e sulle sue attività evidentemente ritenute politiche e non accademiche. Col passare degli anni, in Egittto, le prime grottesche ipotesi accusatorie lasciano spazio a un teorema più articolato ma non meno debole: il delitto sarebbe stato ordinato da ambienti deviati dei servizi segreti egiziani, infiltrati vicini ai Fratelli Musulmani, per screditare al Sisi e far precipitare i rapporti con l'Italia.
L'ACCUSA
La magistratura italiana arriva a ben altre conclusioni, corroborate da anni di non semplice attività investigativa. La Procura della Repubblica di Roma lo scorso 20 dicembre ha chiuso le indagini preliminari sull'omicidio di Giulio Regeni, rinviando a giudizio quattro alti ufficiali dei servizi segreti egiziani (generale Tariq Sabir, colonnello Athar Kamel, colonnello Usham Helmi, maggiore Magdi Sharif), accusati di sequestro di persona, lesioni gravissime e omicidio. Il movente sarebbe da ricercare nell'infondato sospetto che Regeni volesse fomentare e finanziare una rivoluzione in Egitto. I quattro militari sono irreperibili e i loro indirizzi non sono stati forniti . La risposta dell'alta Procura egiziana è inequivocabile: impossibile incardinare un processo perché gli autori del delitto sono ancora sconosciuti. In altre parole, mancherebbero quelle prove che per i magistrati italiani sono schiaccianti. "Il governo italiano dovrebbe ritenere inaccettabile questa dichiarazione della procura egiziana", ha commentato Amnesty International