Reddito di cittadinanza: zero revoche. Se rifiuti il lavoro non rischi nulla

Milano, l’agenzia competente: "I meccanismi non funzionano". E la regione è ultima per ricollocamenti

Una navigator durante una protesta (Archivio)

Una navigator durante una protesta (Archivio)

Milano - Si avvicina allo zero il numero di percettori del reddito di cittadinanza che i centri per l’impiego segnalano per la revoca del sussidio in quanto hanno rifiutato le famose tre offerte di lavoro "congrue". Per chi vuole percepire l’assegno mensile senza cercare un impiego basta non rispondere al telefono, non presentarsi agli appuntamenti, farsi scartare nella fase dei colloqui con le aziende. Tanto non c’è il rischio di perdere il beneficio erogato dall’Inps, come prevederebbe invece la norma. Le pochissime segnalazioni di “furbetti“ partite dai centri per l’impiego sono la conseguenza di un sistema - di cui è in discussione la riforma - che funziona nella fase dell’erogazione dei sussidi ma si inceppa in quella del ricollocamento delle persone che si impegnano a seguire un percorso firmando il Patto per il lavoro.

"Le segnalazioni che partono da noi di persone che rifiutano le offerte sono praticamente pari a zero – spiega Maurizio Del Conte, presidente di Afol Met, che gestisce i centri per l’impiego nella Città metropolitana – perché il criterio dell’offerta congrua è troppo vago e il meccanismo delle tre offerte non funziona. Per non lavorare basta non farsi prendere, senza neanche arrivare alla fase in cui l’azienda presenta una proposta formale. Anche il sistema degli incentivi alle aziende non ha funzionato. Bisognerebbe affidare a un soggetto unico l’erogazione del sussidio e il ricollocamento nel lavoro – sottolinea – perché in questo modo i controlli sono impossibili". Dai dati emerge un paradosso tutto lombardo. Nella regione, da gennaio ad agosto 2021, sono 147.928 i nuclei familiari che hanno fatto richiesta di reddito o pensione di cittadinanza, per un totale di 302.611 persone coinvolte. Il 3% della popolazione ha usufruito di una misura che, secondo la Cgil, ha "sostenuto famiglie che rischiavano di trovarsi in povertà assoluta".

La Lombardia, tra le prime regioni in Italia per numero di beneficiari, diventa però fanalino di coda quando si guarda al ricollocamento nel mondo del lavoro. Sono 55.857, secondo un’elaborazione della Corte dei Conti, i beneficiari “accolti“, che hanno effettuato almeno un colloquio con i navigator, nuova figura professionale creata per seguire il percorso di riferimento. Nella fase della presa in carico, con la firma del Patto per il lavoro, il numero crolla a 17.474. Nella terza fase, quella dell’avvio dei piani personalizzati di accompagnamento al lavoro, migliaia di beneficiari si perdono per strada. Ne restano solo 6.548 e fra questi ancora meno trovano lavoro.

Dati che stridono nel confronto con le altre regioni. Le poco popolose Marche, ad esempio, registrano ben 24.499 piani di avviamento. Il Piemonte ha accolto, con il primo colloquio, il doppio dei beneficiari rispetto alla Lombardia. La Sardegna è a quota 67.594. Il numero delle opportunità di lavoro che, almeno sulla carta, vengono messe a disposizione in Lombardia è invece più o meno in linea con le altre regioni.

"Il motivo di questa differenza – spiega Antonio Lenzi, navigator in servizio al Cpi di Rho e delegato Nidil-Cgil – è tutto politico, perché la Lombardia non ha mai puntato in maniera omogenea su questa misura ad eccezione di province, come Bergamo, che hanno lavorato bene. Noi stiamo dando il massimo: i percettori del reddito sono per il 72% con solo la licenza media, sono fuori dal mondo del lavoro da più di 5 anni. È difficile ricollocarli, anche se in questo periodo si stanno aprendo opportunità nell’edilizia, nella ristorazione e nelle pulizie. Secondo la mia esperienza, chi ha una buona offerta di lavoro la accetta. Per gli altri è praticamente impossibile far partire la segnalazione, proprio perché il criterio della congruità è troppo soggetto a interpretazioni".