Profughi, fermata l’onda s’ingrossano i problemi: "Più racket e lavoro nero"

Ancora pochi i rimpatri. Comuni sotto pressione

Alcuni profughi

Alcuni profughi

Milano, 3 gennaio 2018 - In un'ex colonia della Curia a Botta di Sedrina, frazione di 800 abitanti in Val Brembana, sono ospitati circa 170 profughi. Una concentrazione «eccessiva», in diversi piccoli centri lombardi che stanno affrontando l’emergenza immigrazione. In altri Comuni, che hanno alzato le barricate, i profughi non sono mai arrivati. Con la riduzione degli sbarchi sulle coste italiane nel 2017, per la prima volta da anni, sono calati anche gli arrivi in Lombardia, prima regione in Italia per numero di migranti accolti (14%) seguita dal Lazio (9%) . Ma i problemi, legati all’integrazione e alla distribuzione sul territorio, restano. Con il rischio che i migranti, una volta usciti dai centri, finiscano nell’orbita di organizzazioni criminali. Attualmente sono oltre 20mila le persone accolte in Lombardia. Un quarto - circa 5.000 persone secondo gli ultimi dati della Prefettura - si trova nella Città metropolitana di Milano. Sono solo 1.980 i migranti - tra questi 235 minori non accompagnati e 13 persone in situazioni di disagio mentale o disabilità psichica - accolti con il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) gestito dal ministero dell’Interno, con 55 progetti varati da 49 enti locali. Gli altri, la stragrande maggioranza, sono ancora ospiti dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas), gestiti da organizzazioni del terzo settore con la Prefettura che ha il compito di regolare i flussi. «I migranti inquadrati nella rete Sprar sono solo il 10% del totale - spiega Graziano Pirotta, consigliere comunale di Canonica d’Adda e presidente del dipartimento Welfare e Immigrazione dell’Anci Lombardia - ma il numero dei progetti sta crescendo. Presto dovrebbero partirne altri 15 in Lombardia».

L'associazione dei Comuni, quindi, sta sollecitando le amministrazioni ad aderire allo Sprar, per evitare «decisioni calate dall’alto». E lancia un nuovo appello al Governo. «Bisogna rivedere i criteri di distribuzione - sottolinea Pirotta - perché su alcuni territori, come quello della Val Brembana, la concentrazione è eccessiva. Inoltre il contributo economico per l’accoglienza non si sta dimostrando una leva sufficiente, di fronte alle resistenze di alcuni Comuni per ragioni politiche ed elettorali». E i problemi sono infiniti. A Busto Arsizio, nel Varesotto, più volte sono scoppiate proteste di migranti ospiti del centro d’accoglienza, che chiedono i documenti. Nel luglio scorso un gruppo era sceso in piazza a Serle, nel Bresciano. Denunciavano cibo scarso e di bassa qualità, sovraffollamento, minacce da parte dei gestori del centro. Nel Lodigiano, inoltre, hanno bloccato la via Emilia. Diverse anche le proteste di residenti contro l’arrivo di migranti. L’iter per la richiesta d’asilo, con eventuali ricorsi in caso di respingimento, può durare anni. Gli stranieri che non ottengono forme di protezione devono lasciare i centri d’accoglienza. In pochi vengono rimpatriati. Gli altri restano sul territorio come clandestini, lavorano in nero o rischiano di diventare manodopera per organizzazioni criminali, utilizzati per spacciare droga o vendere prodotti contraffatti. I più “fortunati” lasciano l’Italia, proseguendo il viaggio della speranza verso il Nord Europa.