Prima il machete, ora gli spari in testa: la dura legge nei boschi della droga

Esecuzione del Rugareto, cadavere ancora senza nome. E troppi "fortini" dello spaccio dove la vita vale zero

Il corpo del ragazzo di circa 30 anni è stato portato a Pavia per l’autopsia

Il corpo del ragazzo di circa 30 anni è stato portato a Pavia per l’autopsia

Non ha ancora un nome l’uomo, apparentemente di circa 30 anni d’età e di origine maghrebina, ucciso nel tardo pomeriggio di sabato all’interno del bosco del Rugareto e più esattamente nella parte di quest’ampia area verde al confine tra Rescaldina e Gerenzano. Se le indagini portate avanti dai carabinieri e coordinate dalla procura di Busto Arsizio non sono ancora riuscite a risalire all’identità del giovane, non sembra ci siano invece dubbi sul contesto nel quale è maturato il delitto. Il trentenne, almeno secondo la prima ricostruzione, pare sia stato ucciso, forse dopo un breve inseguimento, per motivi connessi alle attività di spaccio di stupefacenti che qui trovano ampio spazio: l’analisi del cadavere - l’autopsia si è svolta nella giornata di ieri a Pavia e i risultati potranno fornire ulteriori dati utili alle indagini - ha infatti confermato che l’uomo è stato ucciso con un colpo di arma da fuoco alla testa. Intanto i carabinieri, che hanno setacciato la zona dove è stato rinvenuto il corpo ormai senza vita, alla ricerca di indizi utile per risalire all’autore o agli autori dell’omicidio, hanno trovato a terra bossoli di armi con due calibri diversi. Tutti questi elementi disegnano il quadro di un violento regolamento di conti, evento per altro tutt’altro che unico in quest’area. Solo poche settimane fa, solo per citare un caso, è stato condannato in contumacia a 25 anni e 6 mesi di carcere per omicidio Cherif Ahmed, uno degli spacciatori dei boschi del Rugareto e operativo proprio in questa stessa zona, che nel 2019 aveva ucciso Abib Modou Diop, un 54enne senegalese reo di avergli sottratto un paio di ovuli di droga. Per uno “sgarro“ da circa 100 euro, il 25enne di nazionalità marocchina non aveva esitato un attimo, decidendo di far pagare con la vita l’affronto. Il 54enne era stato ucciso a colpi di arma da fuoco in un campo di via Grigna a Rescaldina, a pochi metri dalla strada. Nel mese di febbraio era stato arrestato un cittadino di nazionalità marocchina trovato in possesso di hascisc, cocaina, denaro contante e di una pistola, calibro 6.35, con matricola abrasa e dotata di caricatore con tre proiettili. Facile comprendere come, in questo contesto, vengano poi risolte le questioni. Paolo Girotti  

Como - Nel bosco, fino al loro bivacco, non arriva mai nessuno. È un fortino da proteggere, che custodisce soldi, droga, a volte anche armi. Gli spacciatori che lavorano nei boschi, ormai ovunque, scelgono punti inaccessibili, si fanno mappe mentali per essere i soli a trovare il posto in cui sanno di poter dormire, o di potersi allontanare, senza che nessuno arrivi a derubarli. Da lì, si spostano solo per consegnare la droga, ormai senza alcuna specializzazione. I nordafricani che gestiscono ferocemente lo smercio nelle aree boschive hanno di tutto: dalla marijuana all’eroina, e tanta cocaina, la droga più richiesta. Gli acquirenti si fermano lungo la strada dopo aver ordinato quasi sempre per telefono e a quel punto possono accadere due cose: lo spacciatore gli va incontro e consegna, oppure si allontana solo di poco dal suo bivacco, affida la dose a qualche tossicodipendente al suo servizio, e lo incarica di andare a fare la consegna e riportare i soldi. Ma nemmeno loro, i "cavallini", sanno dove è il bivacco.

I disperati che passano le giornate facendo la spola con gli acquirenti, che vanno a fare la spesa e altri servizi per gli spacciatori, che fanno da vedetta se arrivano le forze di polizia, e alla fine vengono pagati con una dose di stupefacente, vengono tenuti a distanza, all’interno di un perimetro rispetto al quale non devono sforare. L’inizio di questo sistema ha una data: il 2013, quando la Squadra Mobile di Como, durante un’indagine chiamata, non a caso, "Pit Stop", aveva notato che gli acquirenti si fermavano in una piazzola dell’autostrada a Turate, aspettando che dal bosco a pochi metri uscisse lo spacciatore che si avvicinava al guard rail, infilava il braccio nell’abitacolo, e poi se ne andava. Decine di consegne al giorno, un format che è diventato una costante.

All’interno dei boschi, la lotta per spartirsi gli spazi è ferocissima, perché non tutte le zone rendono allo stesso modo. A fine 2018, due bande di spacciatori nordafricani si erano affrontate dentro i boschi del Parco del Lura, tra Como e Varese: colpi di arma da fuoco e di machete, ostaggi legati agli alberi e massacrati di botte, due morti, alcune persone identificate a arrestate, forse non tutte. Un anno dopo, in un bivacco a Cadorago, un altro spacciatore, per motivi mai compresi, aveva ucciso la sua ex compagna, che si era fermata a dormire con lui.