Delitto via Lope de Vega. "Ha spento la tv e mi ha detto cercati lavoro, così l'ho uccisa"

Il massacro a coltellate dopo la lite in casa fra Bouchaib Sidki e la moglie Wafaa Chrakoua: "Mi sgridava perché sprecavo tempo sul divano"

La polizia sul luogo del delitto

La polizia sul luogo del delitto

Milano - "Verso le 10-10.30 io mi trovavo in casa e stavo guardando la televisione nel soggiorno, seduto sul divano, quando è rientrata mia moglie dal lavoro ed è venuta direttamente a spegnere la televisione. Ha cominciato a sgridarmi, dicendomi che stavo tutto il giorno a guardare la televisione invece di andare a cercarmi un lavoro". I minuti immediatamente precedenti al femminicidio nel delirante racconto di chi l’ha compiuto. Nelle spontanee dichiarazioni che ha messo a verbale qualche ora dopo il raid killer, il cinquantanovenne marocchino Bouchaib Sidki, arrestato mercoledì dagli agenti della Squadra mobile per l’assassinio della moglie cinquantunenne Wafaa Chrakoua, ha ricostruito la lite che si è conclusa con l’aggressione a coltellate nell’appartamento di via Lope de Vega 1, nel quartiere Barona a Milano.

La rabbia e la follia

"Mi ha urlato che se non andavo a lavorare dovevo lasciare la casa a lei e ai nostri figli – prosegue l’uomo davanti agli investigatori della Omicidi, coordinati dal dirigente Marco Calì e dal funzionario Domenico Balsamo –. Mia moglie, sempre urlandomi contro, è andata verso la nostra camera da letto, continuando a offendermi e dicendomi tante parolacce che al momento non ricordo. Il suo atteggiamento offensivo mi ha fatto arrabbiare tantissimo e quindi, accecato dalla rabbia, sono andato in cucina, dove ho preso un coltello che era sul tavolo vicino al forno, un coltello che di solito si usa per tagliare la carne, col manico nero e la lama appuntita".

Inutili scuse

Sidki raggiunge la moglie in camera da letto: "Lei mi ha visto che avevo il coltello in mano, si è spaventata e mi ha chiesto scusa, ma io ero molto arrabbiato e volevo ucciderla. Non ricordo di preciso cosa ho fatto, mi ricordo però di essere andato contro di lei col coltello in mano e di aver cominciato a colpirla col coltello. Non mi ricordo quanti colpi le ho dato, posso dire però che mi sono accorto che a un certo punto era morta in quanto non urlava più. Le ho toccato per sicurezza la testa e ho visto che non si muoveva più". A quel punto, l’uomo si infila maglione e jeans sopra il pigiama sporco di sangue, butta il coltello davanti alla lavatrice e scende in strada, deciso a consegnarsi agli agenti del vicino commissariato Ticinese: "Mi sono recato verso viale Liguria, dove c’è la circonvallazione, sono passato davanti alla stazione della metropolitana di Romolo: ero già in linea con il numero di soccorso del 112 per dire che avevo ammazzato mia moglie".

La vergogna dell'assassino

L’agente della centrale operativa della Questura gli dice di fermarsi per attendere l’arrivo dei colleghi e di restare al telefono con lui, ma in quegli stessi istanti Sidki vede passare una pattuglia dei carabinieri del Radiomobile e la ferma: i militari lo perquisiscono e poi lo riportano in via Lope de Vega, dove sono già arrivate le Volanti dell’Ufficio prevenzione generale. "Ho detto ai carabinieri – continua Sidki – che non volevo scendere dall’auto perché non volevo incontrare mio figlio (il secondogenito da lui stesso avvisato prima di telefonare al 112, ndr ) perché avevo fatto un casino". Nei prossimi giorni, il cinquantanovenne verrà interrogato dal giudice. La pm Sara Arduini, che coordina l’inchiesta della polizia, chiederà la convalida dell’arresto e la misura cautelare del carcere per il marocchino, che, secondo i vicini, maltrattava da tempo la moglie. Tre gli interventi delle forze dell’ordine in quella casa (uno nel 2015 e due nel 2021), ma la donna non aveva mai denunciato il padre dei suoi quattro figli.