Lombardia regno degli obiettori: aborto garantito solo “a gettone”

Il 68,4% dei ginecologi è obiettore di coscienza, e gli ospedali pubblici hanno speso almeno 255mila euro, l’anno scorso, per chiamare medici a gettone a praticare le interruzioni volontarie di gravidanza. Solo in 62 strutture, il 65% di quelle dotate di un reparto di ostetricia e ginecologia, si può abortire e quasi nella metà (30) non si utilizza la pillola Ru 486. di GIULIA BONEZZI

LA LEGGE La 194 approvata  nel 1978 garantisce  alle donne  la possibilità  di interrompere la gravidanza negli ospedali pubblici ma prevede anche prevenzione ed educazione alla maternità e paternità responsabili

LA LEGGE La 194 approvata nel 1978 garantisce alle donne la possibilità di interrompere la gravidanza negli ospedali pubblici ma prevede anche prevenzione ed educazione alla maternità e paternità responsabili

Milano, 10 novembre 2015 - In Lombardia il 68,4% dei ginecologi è obiettore di coscienza, e gli ospedali pubblici hanno speso almeno 255mila euro, l’anno scorso, per chiamare medici a gettone a praticare le interruzioni volontarie di gravidanza. Solo in 62 strutture, il 65% di quelle dotate di un reparto di ostetricia e ginecologia, si può abortire e quasi nella metà (30) non si utilizza la pillola Ru 486. Eppure gli aborti nel 2014, 15.912, sono diminuiti (del 5,2%) meno che in altre quindici regioni, dalla Val d’Aosta (-17,5%) a Emilia, Veneto, Piemonte (tutte oltre il - 7%). Lo dice la relazione del Ministero della salute sull’attuazione della legge 194 del ’78, che oltre a garantire il diritto all’aborto ha l’obiettivo di ridurlo con la prevenzione delle gravidanze indesiderate, ricordano Sara Valmaggi e Enrico Brambilla del gruppo Pd al Pirellone, presentando il loro rapporto lombardo, frutto di una raccolta dati ospedale per ospedale.

Dal Governo ciellino di Formigoni a quello leghista di Maroni «non è cambiato molto». La situazione resta «a macchia di leopardo», con sette presidi - Melzo, Gallarate, Calcinate, Iseo, Gavardo, Oglio Po, Broni-Stradella - che non hanno un ginecologo non obiettore, e altri 12 con obiezione oltre l’80, compresi ospedali grandi come il Papa Giovanni XXIII di Bergamo (92%), il Fatebenefratelli (82,6%) e il Niguarda di Milano che, con 14 obiettori su 16 in Ginecologia, ha speso 80 mila euro per 519 aborti nel 2014. Il totale parziale (non tutte le aziende hanno risposto alla domanda) è di 255.556 euro pagati a contrattisti per garantire l’applicazione della 194 negli ospedali pubblici lombardi. I privati contrattualizzati dal servizio sanitario lombardo non contribuiscono alla libera scelta delle donne perché, fanno sapere dall’Aiop, «la Regione non l’ha mai chiesto».

Poi c’è il caso Ru 486: in Lombardia solo il 4,6% delle Ivg è praticata con la modalità farmacologica; nel 2013 erano il 3,3%, mentre la Liguria toccava quota 30,5%, Piemonte ed Emilia-Romagna il 23,3 e 21,8%, la Toscana l’11,7%. In Toscana, dall’anno scorso, la pillola abortiva si somministra anche in consultorio. La Lombardia, invece, pretende tre giorni di ricovero, mentre per l’aborto chirurgico basta il day hospital, ricorda Valmaggi. E la burocrazia fa spesso superare il limite di 49 giorni oltre il quale non si può più ricorrere al farmaco. Colpa, dice, di politiche regionali improntate al «pregiudizio ideologico», che per un altro verso rendono «inefficace la prevenzione». Il 41,4% delle donne che abortiscono in Lombardia sono straniere, ma l’unica Regione che offre un sussidio economico a chi vi rinuncia (il Nasko) ha innalzato a due gli anni di residenza per accedervi, e «non aderisce al progetto del Ministero della salute per la prevenzione tra le immigrate». giulia.bonezzi@ilgiorno.net