Mottarone, ex tecnico segnalò problemi alla cabina nel 2019: "Minacciarono di licenziarmi"

E' quanto ha riferito il dipendente agli inquirenti che indagano sulla tragedia. La risposta del caposervizio: "Tanto la funivia non cade"

Il sopralluogo sul punto della disgrazia

Il sopralluogo sul punto della disgrazia

Verbania - Minacciato di licenziamento dopo avere segnalato nel 2019 problemi alla funivia del Mottarone. È quanto ha riferito un ex dipendente, Stefano Carlo Gandini, agli inquirenti che indagano sulla sciagura dello scorso maggio, costata la vita a 14 persone. Gandini si è presentato alla polizia giudiziaria della procura di Verbania il 7 giugno e ha consegnato un file audio con alcune conversazioni. Ed è questo l'asso che la procura di Verbania ha giocato davanti ai giudici del tribunale del riesame di Torino, dove ha insistito per l'arresto di Luigi Nerini, gestore dell'impianto, e del direttore di esercizio Enrico Perocchio, scarcerati dal gip Donatella Banci Buonamici per la mancanza di gravi indizi di colpevolezza.

L'ex dipendente ha raccontato che nel maggio del 2019 notò delle noie alla cabina 3, quella precipitata. Inconvenienti a un discriminatore e perdite di olio dalla centralina dei freni. Ne parlò ai superiori e il caso fu segnalato al caposervizio, Gabriele Tadini (l'unico indagato agli arresti domiciliari). "Nelle registrazioni - ha fatto mettere a verbale - si sente anche Nerini intervenire nel suo ufficio ove ha minacciato di licenziarmi". Il giorno seguente Tadini gli disse di "stare tranquillo, tanto la funivia non cade".

"Ad agosto - conclude Gandini - trovai un nuovo lavoro e preferii licenziarmi". L'episodio non è connesso con l'incidente del 23 maggio 2021, anche se a precipitare, quel giorno, fu proprio una cabina contrassegnata con il numero 3. Ma secondo gli inquirenti potrebbe fare chiarezza sul grado di consapevolezza di tutti gli indagati e sul modo in cui si affrontavano i problemi. La lettura della difesa è diametralmente opposta: dalla deposizione di Gandini (e di altri suoi ex colleghi) si ricava che molte deleghe erano state affidate dai vertici a Tadini, e che il personale si atteneva alle regole imposte da lui. "Attendiamo la decisione dei giudici con serenità e non è una frase fatta", dice l'avvocato di Perocchio, Andrea Da Prato.