Decessi sospetti in corsia a Saronno, la lite col medico prima di morire

La denuncia dei familiari e l’incubo della quindicesima vittima

Domenico Brasca

Domenico Brasca

Rovello Porro (Como), 4 maggio 2018 - «Mio padre è morto dopo essere stato dimesso dall’ospedale». Poche parole da Roberta Rosa Maria, affacciata all’ingresso dell’abitazione mentre è al telefono con il suo avvocato. È una delle due figlie di Domenico Brasca, pensionato di 81 anni di Rovello Porro, deceduto il 18 agosto del 2014. L’ultima delle morti sospette di cui è accusato Leonardo Cazzaniga, medico anestesista, all’epoca viceprimario al pronto soccorso del presidio ospedaliero di Saronno. Domenico Brasca muore nella sua abitazione. Una morte, quindi, che a differenza delle altre undici contestate a Cazzaniga (cui si aggiungono i tre decessi per i quali è accusato in concorso con l’ex amante, l’infermiera Laura Taroni), non è avvenuta in ambito ospedaliero, ma dopo che il paziente se n’era allontanato. È anche il primo caso che emerge per la denuncia presentata dai familiari e non dalle cartelle cliniche esaminate dagli inquirenti impegnati nell’inchiesta Angeli e demoni della procura di Busto Arsizio. Oggi il gip di Busto, Piera Bossi, conferirà, con la formula dell’incidente probatorio, l’incarico a un pool di esperti di alto profilo scientifico per l’esumazione del corpo di Brasca e gli accertamenti medico-legali e tossicologici. Dovranno accertare se anche al pensionato di Rovello Porro l’aiuto primario abbia applicato quel sovradosaggio di farmaci che aveva battezzato “protocollo Cazzaniga”. È soprattutto in vista di questo appuntamento che i familiari scelgono la strada della riservatezza.

«Con il dottor Cazzaniga – dice Antonella, l’altra figlia – avevamo avuto una discussione, non per i suoi metodi di cura, ma per il suo modo di fare. Papà aveva una certa patologia. Poi abbiamo letto i giornali e visto in televisione la notizia delle morti all’ospedale di Saronno, con tutto quello che è scoppiato. Ci siamo insospettite e siamo partite con la denuncia. Domani (oggi, ndr) saremo in ospedale». Un villino in via Mazzini, sul citofono ancora i nomi di Domenico Brasca e della moglie Gianfranca Elli. Accanto la “Metalcol”, l’impresa di verniciatura creata da Brasca all’inizio degli anni ‘50. I due poli di un’esistenza tranquilla, laboriosa. Nato nel 1932, quando muore Brasca deve compiere 82 anni. Nel 2009 ha perduto la moglie, di sette anni più giovane. La famiglia, il lavoro, anche dopo essere andato in pensione, pochi passi da casa per ritrovarsi nell’altro emisfero del suo modo, vicino al socio Sandro Sozzi, ai dipendenti. Così fino agli ultimi giorni. Poco altro. La partecipazione assidua alla vita della parrocchia guidata da don Maurizio Corbetta, sempre presente alle processioni, alle gite. Il tifo per l’Inter. «Una grande persona – lo ricorda una dipendente –, un uomo buono, generoso. Raccontava di avere iniziato come operaio, ne andava fiero. Qui siamo arrivati a essere quindici dipendenti. Sapevamo della sua cardiopatia. Quando è mancato era agosto, eravamo un po’ tutti in vacanza. Abbiamo pensato al cuore, all’età, per una persona di 81 anni». «Un uomo – conferma il socio Sandro Sozzi – di cui si può dire solo bene. Un gran lavoratore, capace di dodici ore di impegno al giorno».