Vittime, i dati Inps: a Bergamo morti quadruplicati

Lombardia prima in Italia, è l’effetto del virus

Intervento dell'esercito al cimitero monumentale di Bergamo per smaltire le bare

Intervento dell'esercito al cimitero monumentale di Bergamo per smaltire le bare dei deceduti di coronavirus in altro forno crematorio, 18 marzo 2020. ANSA/FILIPPO VENEZIA

Bergamo, 22 maggio 2020 - Tra marzo e aprile "le province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza presentano tutte una percentuale di crescita dei decessi superiore al 200%. Quasi tutto il nord-ovest dell’Italia risulta interessato da un incremento dei decessi superiore al 50%". Con questi dati l’Inps accompagna la nota statistica con la quale ha calcolato i dati di mortalità raccolti nel periodo dell’epidemia. La mortalità cresce nel cuore del contagio o al Sud nelle regioni come la Puglia dove sono arrivati coloro che hanno deciso di “fuggire“ dalla Lombardia in lockdown. Il rapporto analizza anche la distribuzione per età e sesso. La percentuale di donne fra i deceduti è del 44,5% mentre nello stesso periodo in un anno normale risulta del 53,8%, a conferma che il virus colpisce maggiormente gli uomini.

L’età media al decesso, nelle province più colpite dal coronavirus - Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi, Piacenza - è di 81,5 anni che diventa 78,5 anni per i maschi e 85,1 per le femmine. Le classi di età hanno visto incrementi più sostenuti da 90 anni e oltre (+52%), 80-89 anni (+46%) e 70-79 anni (+45%), meno per le classi d’età 60-69 anni (+30%) e 50-59 anni (+18%), mentre da o a 49 anni si è registrata addirittura una diminuzione della mortalità (-8%). Territorialmente, sono proprio le province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza a superare il 200% di incremento della mortalità, con il record di Bergamo unica nella fascia fra i 300 e i 400. Ma quasi tutto il Nord-Ovest dell’Italia risulta interessato da un incremento dei decessi superiore al 50%. Ma il picco assoluto è riservato proprio alla Bergamasca, dove nella fascia d’età fra i 70 e i 79 anni, fra coloro che beneficiavano di un assegno di accompagnamento, la mortalità è cresciuta molto meno che fra coloro che non ne godevano, che hanno visto crescere i decessi addirittura del 435 percento. Stranamente, sottolinea l’Inps, a morire di più non sono stati i più fragili, perché "la platea dei percettori di indennità di accompagnamento non coincide necessariamente con la platea dei malati con patologie gravi".