Scelta a caso e uccisa per avvertimento. Dopo 23 anni il killer di Beauty è in cella

Svolta nel delitto della prostituta freddata a Milano nel ’99. Processato un innocente, le prove ora incastrano il vero colpevole

Un rilievo dei carabinieri sul luogo del delitto

Un rilievo dei carabinieri sul luogo del delitto

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Milano - Sono passati 23 anni, ma la giustizia, inesorabile, ha riannodato tutti i fili, messi in ordine gli indizi, anche quelli che sembravano inspiegabili e riportato a galla i ricordi dei testimoni che sono diventati prove schiaccianti. L’assassino di Beauty Erahdor, prostituta nigeriana di 26 anni, uccisa con un colpo di pistola alla nuca nella notte fra il 30 settembre e il 1° ottobre del 1999, a distanza di tutto questo tempo, ha un nome e un volto, quello di Valerio Morrone, 44 anni, latitante fino al 2017. Fuggito in Svizzera, si era ricostruito un’altra identità e un’altra vita, faceva il pizzaiolo in un ristorante di Ginevra. Era ricercato originariamente per una condanna a 17 anni di reclusione e 99.500 euro di multa per associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, corruzione, associazione per delinquere per la commissione di truffe, furto ed evasione.

Il 1 febbraio in Corte d’Assise si celebrerà la prima udienza del processo in cui Morrone risponderà anche per l’omicidio della nigeriana. Incastrato dalle prove alla fine ha dovuto confessare, non sapeva che un supertestimone, Olga, amica della prostituta uccisa, aveva visto tutto e raccontato. Quando Morrone puntò la pistola alla nuca di Beauty che cercava disperata di fuggire, Olga era lì, a pochi metri, appartata con un altro cliente, nascosta alla vista. Per quell’omicidio brutale venne arrestato Kolaj Mirash, albanese 30 anni, scagionato in secondo grado due anni dopo. Poi di quell’omicidio non se ne parlò più, caso archiviato senza che nessuno avesse più interesse a cercare il colpevole di un regolamento di conti complicato fra bande rivali in cui aveva trovato la morte una prostituta a caso.

Perché così poi racconterà Morrone: "Ne punimmo una a caso per istruire le altre e mandare un messaggio. Loro lì, le nigeriane non ci dovevano stare". Così quella notte la morte di Beauty era un avvertimento: quel tratto di Statale doveva tornare ad essere gestito dagli albanesi e da Morrone. Quest’ultimo fu ideatore ed esecutore dell’assassinio. Nascosto nel baule di un’auto, una Ford Mondeo, guidata da un complice, rubata il giorno prima a Gessate e poi bruciata, uscì al momento giusto, si avvicinò a Beauty, lei provò a scappare, ma uno dei due proiettili sparati con una pistola calibro 7.65 la raggiunse alla testa. Dopo l’omicidio, Morrone e il complice bruciarono l’auto, i carabinieri la ritrovarono in via Leopardi a Pessano con Bornago.

Morrone raggiunse poi la metropolitana, salì alla fermata di Gorgonzola e scese a Vimodrone. "Vicino - ha raccontato agli investigatori nell’interrogatorio avvenuto nel carcere di Opera - c’è un corso d’acqua che si chiama Martesana, in quella località, accanto alla pista ciclabile, decisi di sbarazzarmi della pistola che avevo usato per uccidere". Una pistola , marca Crvena Zastava, corrosa e arrugginita, con matricola illeggibile, priva di caricatore, proveniente dall’ex Jugoslavia e illegalmente introdotta in Italia, verrà infatti, ritrovata nei mesi successivi all’omicidio, incastrata in un groviglio di rami e restituita dal corso d’acqua. Un’arma all’apparenza non collegabile a nulla, un ultimo tassello rimasto lì, negli archivi degli investigatori, per 23 anni, in cerca di un colpo di fortuna che ne spiegasse la storia.