Criminalità in Lombardia: cresce il business della mafia cinese. Quali "affari" predilige

La Dia accende i riflettori sulle infiltrazioni dei gruppi asiatici in Brianza, a Brescia e a Bergamo. Il primo segnale un’inchiesta della Finanza a Monza

Dia (Archivio)

Dia (Archivio)

Monza - Non più soltanto il peso della criminialità organizzata italiana, sulle province lombarde cresce il peso dei clan cinesi. Passa proprio dal colosso asiatico la nuova frontiera del traffico di fatture false a favore di imprese del centro-nord Italia per il business dell’autoriciclaggio milionario attraverso compiacenti società estere. Un fenomeno recente, emerso in un’inchiesta della Guardia di Finanza del Comando provinciale di Monza e coordinata dalla Procura monzese guidata da Claudio Gittardi, su cui punta un faro l’ultima relazione al Parlamento della Direzione Investigativa Antimafia relativa al secondo semestre del 2021.

Affari sporchi all'orientale

"La criminalità cinese continua a concentrare i propri interessi criminali nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina finalizzata allo sfruttamento sul lavoro, alla prostituzione, alla tratta degli esseri umani, nonché ai reati contro la persona talvolta connessi nell’ambito di azioni intimidatorie o scontri tra gruppi contrapposti, rapine ed estorsioni in danno di connazionali e contraffazione di marchi", si legge nella relazione della Dia, secondo cui però "questi comportamenti sono spesso reati presupposto di altri delitti quali il riciclaggio e il reimpiego di capitali in aziende fittizie".

Il riferimento è al provvedimento delle Fiamme gialle monzesi "con numerose attività di perquisizione che hanno portato al sequestro di documentazioni bancarie, fiscali e contabili relative a società con sedi in Lombardia e in particolare nelle province di Monza e Brianza, Brescia e Bergamo". Dalle indagini è emersa un’associazione per delinquere "radicata sul territorio brianzolo e con proiezioni sul territorio nazionale" per l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e il riciclaggio dei proventi illeciti nel settore del commercio e smaltimento di metalli ferrosi". Un business illecito stimato in 57 milioni di euro lo scorso marzo con l’operazione denominata "Ironfamily" che ha portato a 12 ordinanze di custodia cautelare e 85 indagati.

L'inchiesta apripista

Oltre due anni di inchiesta, partita dopo un controllo effettuato presso un’azienda di rottamai di Desio in Brianza segnalata per operazioni anomale. Con la scoperta che la destinazione dei soldi ‘sporchi’ non sono più i cosiddetti ‘paradisi fiscali’ in Paesi esotici e neanche la triangolazione con la Svizzera e il Regno Unito, ormai bruciati dai controlli. Ma l’ingresso di nuovi Paesi come Bulgaria, Repubblica Ceca, Polonia, Slovenia, Spagna e Ungheria ma soprattutto il coinvolgimento di società della Repubblica Popolare Cinese. Nel caso concreto di questa indagine il sistema fraudolento prevedeva: emissione di fatture false da parte di imprese italiane fittizie, saldate (dai "clienti" utilizzatori delle fatture) con pagamenti a società ‘cartiere’; bonifico degli importi ricevuti a imprese estere cinesi e infine prelievi in contanti dai conti esteri e successivo trasporto per il rientro in Italia, mediante corrieri, delle provviste di denaro, al netto della "commissione" per l’illecito servizio di "schermo fiscale" reso, pari al 2% di ciascuna transazione.