Mais e cereali, in Lombardia crollata la produzione. E la guerra ha dato la mazzata

Nei campi lombardi il peso dei vincoli Ue. Ma l’import si blocca: animali “a dieta“ negli allevamenti. E i prezzi sono alle stelle

Mais ogm (Ansa)

Mais ogm (Ansa)

Una scelta suicida. Non solo quella di legarsi mani e piedi all’importazione di gas dalla Russia, ma anche quella di disincentivare la produzione di mais e cereali sul territorio. In Lombardia (ancora) si coltiva e si raccoglie il 50% del granturco italiano, 5,5 milioni di tonnellate, contro gli 11 milioni che il Paese miete ogni anno. Vanno all’alimentazione umana, ma soprattutto a quella animale. Ai bovini e ai suini. Servono a produrre carne e latte e, indirettamente, a contribuire alle esportazioni di formaggi, salumi e mille “eccellenze“ che raddrizzano i conti della bilancia commerciale. Eppure, ogni anno, la superficie destinata al mais, che peraltro già soffre per il costante allarme siccità, si riduce. Effetto della concorrenza estera, ma anche dei vincoli imposti dall’Ue, che impongono di lasciare incolto il 10% dei campi, per evitarne l’impoverimento e per la biodiversità.

Così, fra elementi avversi e congiunture di mercato, si scopre che nel 2021 la produzione di mais è calata del 40%. Nessun problema, in una situazione normale, in cui i prezzi e la disponibilità sono di tutta tranquillità. Già dallo scorso anno, però, qualcosa era cambiato. La Cina ha raccolto scorte enormi, facendo crescere il prezzo del 63% dal 2020 al febbraio 2021. Una dinamica che ci ha parzialmente spiazzato e che rischia di diventare tragica oggi, con il 10% del mais che arriva dall’Ucraina. E questa quota è mancata, come manca quella ungherese. Così, l’aumento dopo lo scoppio della guerra è arrivato al 92%: un raddoppio secco rispetto ai prezzi di due anni fa. Unica soluzione: aumentare la produzione italiana, lombarda in particolare. Secondo Coldiretti si potrebbero produrre già da quest’anno nove milioni di quintali in più, più o meno l’equivalente di quanto mais cosiddetto “ceroso“ ogni anno coltivano le province di Varese, Como, Sondrio e Milano messe insieme. "Basterebbe ridare all’agricoltura quei terreni che oggi per gli obblighi comunitari sono sottratti alla produzione o destinate a interesse ecologico – afferma il presidente Ettore Prandini –. saremmo in grado così di cancellare l’effetto del taglio delle importazioni". Che la scarsità e i prezzi delle materie prime stia diventando un problema, lo dimostra anche la situazione delle stalle lombarde. "Abbiamo già dovuto ridurre la parte proteica – spiega Carlo Migli, allevatore di vacche da latte a Castelgerundo (Lodi) - in particolare la soia, a causa dei costi che ha raggiunto sul mercato. Bisogna però stare molto attenti a non pregiudicare troppo la qualità dell’alimentazione".