Femminicidio, a cosa serve la legge se le condanne non cambiano?

Il codice rosso non viene sempre applicato e le pene previste sono uguali a quelle dell'omicidio

Chiara Ugolini

Chiara Ugolini

Cambia il nome, non la punizione. Se una donna viene uccisa, l'autore del crimine viene punito con la medesima condanna applicata a chi priva della vita un uomo. Tragicamente ironico, visto che il 19 luglio 2019 è entrata in vigore la Legge sul femminicidio. Che non punisce il femminicidio in modo differente rispetto all'omicidio. E allora che altro motivo esisterebbe, se non quello squisitamente poltico, per varare una nuova legge e puntare sulla definizione di femminicidio? Quella alla "targhetta del femminicidio" è sembrata sin da subito una corsa più politica che una vera battaglia. E quando la legge del 2019 è entrata in vigore il sospetto si è trasformato in realtà. E se farne una questione di merito è pressoché inutile - una vita umana vale allo stesso modo a prescindere da sesso, religione, colore della pelle e questo è evidente -, interessante è capire perché si sia sentito l'obbligo di differenziare, a parole, la morte di un uomo da quella di una donna. Il motivo è riscontrabile in un parallelismo, quello con il Ddl Zan: si cerca di tappare con le norme una falla che in realtà è culturale

Il codice rosso

La legge 69 del 19 luglio 2019 non prevede condanne differenti in caso di femminicidio, ovvero di uccisione di una donna, rispetto a quelle per omicidio. Ma introduce sfumature differenti. Per questo si parla di "codice rosso" E' prevista una aggravante nel caso in cui la donna sia in stato di gravidanza. Vengono introdotti - e forse sarebbe anche il caso di tenerli in degna considerazione in modo reale e concreto - anche dei reati "spia", ovvero reati che se non tenuti d'occhio possono degenerare, come violenza domestica, percosse e lesioni. Vengono inoltre meglio definiti i contorni dei delitti di minaccia e di violenza sessuale, a cui viene affiancato anche quello di violenza sessuale di gruppo. La legge 69 definisce meglio anche, finalmente, il reato di stalking e parla di revenge porn. 

Chiara, Ada e le altre: le vittime di femminicidio

Chiara Ugolini, Rita Amenze e Ada Rotini sono le ultime donne in ordine di tempo ad aver perso la vita per mano di un uomo. Nel caso di Chiara si è trattato del vicino di casa, Rita è stata uccisa dall'ex marito, Ada dal marito. Tre donne che uccise per motivi diversi, ma i cui familiari e amici chiedono a gran voce la stessa cosa: giustizia. 

L'identikit: da chi vengono uccise le donne?

Secondo i dati Istat degli anni che vanno dal 2002 al 2019, quasi il 90% delle donne uccise viene assassinata da una persona che conosce, quasi il 50% dal partner di quel momento, tra il 10 e il 12% da quello precedente. Circa il 20 per cento viene uccisa da un familiare e il 4% da un'altra persona della propria cerchia. Nella quasi totalità dei casi, quindi, il killer è chi sta vicino a queste donne, chi dovrebbe affiancarle nella vita quotidianamente se non proteggerle e aiutarle a superare le difficoltà di ogni giorno.

La nazionalità dei killer

"L'assassino è sicuramente uno straniero". E invece no. Secondo il rapporto Istat sui femminicidi, il 74,5% degli assassini di donne è italiano. Il restante 25,5% si divide fra Est Europa, Nordafrica, Asia, Centro-sud America.