Roma, 19 luglio 2025 – Salvate il soldato Sala. La novità, a latere dell’inchiesta urbanistica che sta scuotendo palazzo Marino, con 74 indagati e un avviso di garanzia recapitato allo stesso sindaco di centrosinistra Beppe Sala, è che nessuno, a destra, si è alzato a chiederne le dimissioni. Romano La Russa, assessore regionale, per dire: “Aspettiamo il corso delle indagini prima di dare giudizi”. Suo fratello Ignazio, presidente del Senato, “Io non chiedo le dimissioni per l’azione giudiziaria”. E poi la premier Giorgia Meloni: “Penso che la magistratura debba fare il suo corso, non sono mai stata convinta che un avviso di garanzia porti l’automatismo delle dimissioni”.

Senatrice Stefania Craxi, Forza Italia, figlia del leader socialista Bettino, ha visto? La destra, così giustizialista ai tempi di Tangentopoli, è diventata garantista.
“Da Fiuggi in poi la destra italiana ha progressivamente fatto i conti con la storia, rivedendo finanche il giudizio sul biennio ’92-‘94. Ma riconosco a Giorgia Meloni di aver impresso un cambio di passo”.
Le ragioni?
“È una leader intelligente, e che sa usare gli strumenti della politica. Sa quanto sia importante il primato della politica rispetto allo sconfinamento di altri poteri. È un esempio per chi proviene da una storia politica che, in altre epoche, ebbe atteggiamenti ben differenti”.
Le due inchieste milanesi, Tangentopoli e questa di oggi, sono paragonabili?
“Non lo sono, innanzitutto per la natura e per il diverso contesto storico. Tangentopoli fu una “falsa rivoluzione” volta ad abbattere il sistema politico utilizzando il grimaldello del finanziamento pubblico ai partiti che nasce agli albori della repubblica e caratterizza tutta la Guerra Fredda. Serviva una soluzione politica, si scelse la barbarie. Nell’inchiesta milanese di questi giorni la politica, i partiti, non esistono. Esistono i singoli ed esistono lobby e burocrazie imperanti. Anche se alcune cose che ho letto mi lasciano perplessa. È come se tutti i grandi marchi e le grandi aziende milanesi fossero responsabili di ciò che accade in casa dei subappaltatori che, concretamente, portano avanti i lavori per loro”.
Davvero nessuna similitudine?
“Oggi come allora ci sono delle inchieste e degli avvisi di garanzia resi pubblici e amplificati, con i media a fare da grancassa. Siamo in presenza di processi sommari, con condanne preventive in assenza di processi e condanne. Poi, sempre in tema di similitudini, anche oggi vedo un pezzo dello stato intervenire a gamba tesa sulla politica, ergendosi a polizia morale, piuttosto che giudiziaria”.

Dunque, dal suo punto di vista, in 35 anni non è cambiato nulla?
“Il nostro è un Paese che, nella guerra civile permanente di questi decenni, non ha saputo riflettere sulla sua storia, perciò destinato a ricadere nei suoi stessi errori”.
Poi c’è Milano, ancora una volta è al centro del ciclone. Cosa rischia oggi?
“Il rischio è quello di bloccare una parte del sistema economico milanese, grandi aziende con migliaia di lavoratori, con gravi danni all’intero sistema produttivo non solo milanese ma del Paese. Un rischio da scongiurare”
Cosa imputa a Beppe Sala?
“Sala come una vispa Teresa si accorge oggi che ci sono distorsioni nel sistema politico giudiziario. Sarebbe stato bene nella galleria di extraterrestri raffigurati da mio padre... Ma al sindaco muovo, soprattutto, critiche specificamente politiche. Con le sue scelte ha trasformato Milano in una città di ricchi e single, escludendo i giovani, gli studenti, le famiglie del ceto medio, abbandonando le periferie”.
Come pensa che andrà a finire con l’inchiesta?
“Sono e rimango totalmente garantista: tutto quello che stiamo indegnamente leggendo non è una sentenza, ma la visione degli inquirenti. Piuttosto a Sala, che per anni ha negato l’intestazione di un luogo pubblico cittadino a Bettino Craxi, non auguro, se pur in piccolo, il suo stesso destino, ovvero essere condannato dall’opinione pubblica sulla base di supposizioni o del teorema ‘non poteva non sapere’”.
Abbiamo parlato di destra. E la sinistra?
“A sinistra, i nipotini di Berlinguer, che inoculò il moralismo militante nell’ideologia comunista, a forza di usare il giustizialismo contro gli avversari politici ci sono rimasti impantanati. Hanno responsabilità inemendabili sulla deriva giustizialista e sono ostaggi di contraddizioni profonde. Oggi, per non seguire la massima di Pietro Nenni, ossia evitare che un puro più puro ti epuri, sono costretti a consegnarsi ai pentastellati…”.