Covid, il Green pass e il no dei medici di base: "Non certifichiamo cose che non sappiamo"

Renzo Le Pera, vicesegretario della Federazione italiana dei medici di medicina generale: una circolare del ministero della Salute chiarirà i modi di rilascio del pass

Medici di base, foto generica (Spf)

Medici di base, foto generica (Spf)

A partire da metà maggio "sarà introdotto un pass verde nazionale" per muoversi in Italia. Parola del premier Draghi. Aspettando il green pass europeo, previsto per giugno, per spostarsi tra regioni che non siano in zona bianca o gialla bisognerà esibire una "certificazione verde" con cui provare l'avvenuta vaccinazione, o la guarigione dal Covid negli ultimi sei mesi o un tampone negativo nelle ultime 48 ore. Fin qui la teoria, chiara. Peccato che di questo documento, della forma che avrà, del supporto (cartaceo o

Renzo Le Pera
Renzo Le Pera
digitale?), non si sappia quasi nulla. E che al momento le figure indicate dal decreto - i medici di medicina generale - abbiano detto "no grazie, non ci prendiamo anche questa incombenza". Chi ci farà viaggiare, allora? Chi certificherà la nostra idoneità a spostarci in sicurezza? Ne abbiamo parlato con il dottor Renzo Le Pera (nella foto a destra), vicesegretario della Fimmg, la Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale. 

Dottore, facciamo chiarezza: qual è la situazione?

"Partiamo col dire che si è fatta molta confusione, a partire dal Green Pass europeo. In Italia è stato introdotto questo pass verde nel decreto del 23 aprile. Quando ho ricevuto il testo del decreto l'ho analizzato attentamente, anche tra sindacati dei medici, e ho trovato inconguenze".

Ce le spieghi. 

"Al netto del fatto che è stato anche bocciato dal Garante della privacy per l'uso di dati sensibili, per quel che ci riguarda non si può genericamente dire che il 'medico rilascia il pass'. Il medico può e deve certificare solo ciò che ha svolto personalmente: se ha fatto un tampone, rilascerà l'esito del tampone. Se ha fatto il vaccino, rilascerà il documento attestante la vaccinazione, con marca e lotto usato, braccio in cui è stato iniettato. Il medico non deve e non può prendersi la responsabilità di certificare cose che non sa. Allo stesso modo, chi si vaccina in un hub riceverà lo stesso documento, come chi fa un tampone in farmacia o in un laboratorio". 

E per quanto riguarda i guariti?

"Esiste la chiusura del provvedimento di isolamento, che 'libera' il paziente una volta certificata la fine della malattia. Basta questo".

Dunque il pass verde potrebbe non servire, basta avere uno di questi tre documenti?

"Sappiamo che a breve il ministero della Salute illustrerà meglio questo tema, con una circolare. La attendiamo. Nel frattempo noi medici di medicina generale, che già nell'ultimo anno e mezzo abbiamo visto triplicare il nostro lavoro, non vediamo che utilità ci sia nel farci produrre nuovi documenti che sono del tutto pleonastici. Se basta poter attestare una delle tre condizioni - tampone negativo, vaccinazione o guarigione - i modi ci sono già. Se invece dobbiamo produrre un pass che a oggi non esiste, che non sappiamo come sia fatto, un documento che non permetta il riconoscimento di questi dati, non possiamo farlo".

C'è poi un problema di carico di lavoro.

"Se devo fare un pass per ogni paziente vaccinato, ammalato o che ha fatto il tampone, smetto di fare il medico e faccio un altro lavoro". 

Qual è la situazione della pandemia oggi, dal vostro punto di osservazione?

"Noi agiamo sui sintomi e già dieci giorni prima delle nuove misure, ci siamo accorti di un calo consistente dei casi positivi. Però c'è da dire che l'avevamo già visto altre volte... Il problema è che l'effetto annunci ha fatto riempire le piazze e non penso solo a quella di Milano dopo la vittoria dello scudetto dell'Inter. Comunque i casi sono dominuiti, mentre la percentuale dei malati gravi resta uguale ma è in calo in numeri assoluti".

Secondo lei è una tendenza che durerà? 

"Lo dirà il tempo e soprattutto lo dirà l'andamento della campagna vaccinale. Mentre non credo nelle cure miracolose delle fasi iniziali, nonostante si pubblichino studi che di scientifico hanno poco, a partire dal campione analizzato. Se prendi 90 pazienti, per una malattia che nel 95, 96 per cento dei casi è blanda, rischi di 'scoprire' effetti non veri di certe terapie, che rischiano di essere pericolose, come il cortisone dato in fasi iniziali":

Voi della Fimmg avete anche lamentato di non essere stati molto coinvolti nella campagna vaccinale.

"E' un eufemismo. Siamo stati coinvolti molto poco ed è un peccato perché il rapporto di fiducia che si crea tra medico e paziente è molto utile in un momento come questo. Conosciamo i nostri pazienti, possiamo spiegare anche ai più scettici la bontà della vaccinazione, direi anche convincerli".

Insomma, dottore, come finirà?

"Io per natura sono ottimista, se la campagna vaccinale continua così possiamo ragionevolmente credere che per fine anno si poss tornare a una vita semi normale, simile al pre Covid. Ma attenzione, certe precauzioni non potranno certo essere abbandonati subito. Penso agli assembramenti, bisognerà fare ancora attenzione ma probabilmente eviteremo nuovi lockdown. Non riusciremo mai a vaccinare il cento per cento della popolazione, se arriviamo all'80 è un ottimo obiettivo. Io sono della generazione della poliomelite, che ogni stagione falcidiava bambini e ragazzi. Poi arrivò il vaccino, e che vaccino, altro che Astrazeneca... Però fece il suo lavoro e io ora farei fatica a riconoscere una poliomelite. Insomma, avanti con le vaccinazioni, la malattia non verrà debellata ma diventerà endemica, un po' come è ora il morbillo". 

Eppure ci sono medici e infermieri che rifiutano il vaccino.

"Questa è una cosa molto grave, ma per fortuna fanno rumore ma sono molto pochi".