Donne nella scienza: oggi la Giornata internazionale

Per bambine e ragazze la carriera scientifica è ancora un percorso a ostacoli viziato da stereotipi. Eppure la pandemia ha mostrato il valore delle ricercatrici nella lotta al Covid

Le ricercatrici che hanno sviluppato il tampone salivare

Le ricercatrici che hanno sviluppato il tampone salivare

Milano, 11 febbraio 2021 - Se si chiede a un gruppo di bambini di disegnare uno scienziato, uno su tre lo disegnerà donna. Se lo si chiede a ragazze di 16 anni, tre su quattro lo disegneranno maschio. Se lo si chiede a un gruppo di ragazzi della stessa età, il 98 per cento lo disegnerà maschio. Questo perché bambine e ragazze, in Italia così come nel resto del mondo, sono penalizzate da stereotipi che si formano molto presto e influenzano gli interessi dei bambini in uno stadio molto precoce. E così si crea da subito un circolo vizioso: la scienza è roba da maschi, io bimba o ragazza non me ne interesso e studio altro.

E' per combattere questa disuguaglianza che oggi, 11 febbraio, si celebra la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, istituita nel 2015 dall'Onu per superare stereotipi e pregiudizi che rendono ancora le carriere femminili un percorso a ostacoli. Perché è giusto così e perché anche l'economia ne beneficerebbe: se le donne avessero maggior accesso ai settori lavorativi scientifici il Pil europeo potrebbe aumentare dal 2,2% al 3%, spiega Save the Children.

La situazione in Italia a scuola

Nel nostro Paese bambine e le ragazze continuano a essere indietro, rispetto ai loro coetanei maschi, nei risultati in matematica e nelle materie scientifiche, minando fortemente il loro accesso agli studi e alle carriere nel mondo della scienza e delle tecnologie. Secondo Save the Children, su dati del Miur e Istat, oggi in Italia alla fine della scuola primaria le bambine ottengono risultati in matematica mediamente inferiori di 4,5 punti rispetto ai coetanei maschi: uno svantaggio che sale a -6,1 punti al secondo anno delle superiori e a -9,8 all’ultimo anno.

E tra gli studenti con alto rendimento nelle materie scientifiche, solo una ragazza su 8 si aspetta di lavorare come ingegnere o in professioni scientifiche, a fronte di uno su 4 tra i maschi. Un gap che ha origine nei primi anni di scuola e che si rafforza con la scelta del liceo o della facoltà universitaria: tra i diplomati nei licei i ragazzi sono più presenti in quelli scientifici (il 26% di tutti i diplomati rispetto al 19% delle ragazze), mentre solo il 22% delle ragazze si diploma in istituti tecnici, quasi la metà rispetto ai maschi (42%).

Le lauree scientifiche: un affare da maschi

Solo il 16,5% delle giovani tra i 25 e i 34 anni si laureano in facoltà scientifico-tecnologiche, a fronte di una percentuale più che doppia per i maschi (37%), un dato tuttavia migliore della media europea. Un lungo percorso costellato di ostacoli che di conseguenza si riflette nel mondo del lavoro: nelle aree STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica), le giovani rappresentano il 41% dei dottori di ricerca, il 43% dei ricercatori accademici, solo il 20% dei professori ordinarie e tra i rettori italiani solo il 7% sono donne.

“Bambine e ragazze, in Italia come nel resto del pianeta, continuano a scontare sulla propria pelle un divario di genere che non permette loro di far fiorire le proprie potenzialità, semplicemente perché nessuno crede in loro o perché non viene offerta loro un’opportunità - spiega Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children -. Un gap inaccettabile che con la pandemia rischia di diventare ancora più profondo, di lasciare indietro le bambine e le ragazze, soprattutto per coloro che vivono nei contesti di maggiore vulnerabilità socio-economica, dove più gravi sono le conseguenze della povertà economica e della povertà educativa, ed il rischio di dispersione scolastica".

Il ruolo delle scienziate nella ricerca sul Covid

A dimostrazione che nonostante il percorso a ostacoli le scienziate ci sono e fanno la differenza, nei mesi della pandemia diversi risultati nella ricerca suol nuovo coronavirus sono arrivate da donne. Già prima che la pandemia travolgesse l'Italia, allo Spallanzani un team composto da tre donne (Maria Rosaria Capobianchi, Francesca Colavita e Concetta Castilletti) e due uomini aveva isolato il virus. A novembre invece quattro ricercatrici della Statale di Milano (Elisa Borghi, Daniela Carmagnola, Claudia Dellavia e Valentina Massa) hanno messo a punto un tampone nasofaringeo molecolare meno invasivo, pensato per i bambini. E ancora, l'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Bergamo e Ranica ha l'80 per cento di personale donna. A guidare le ricerche c'è una donna, la dottoressa Ariela Benigni. E proprio qui si stanno portando avanti diversi studi, tra cui quello che permetterà di capire quando una persona debolmente positiva in realtà non è contagiosa

La mobilitazione sui social

Per far luce sul tema, per oggi l'organizzazione che tutela l'infanzia ha lanciato una campagna social su Instagram con il coinvolgimento diretto di tante attiviste e di donne e ragazze del mondo della scienza e del digitale. Due gli hashtag con cui cercare informazioni oppure commentare: #noncivuoleunascienza per rendersi conto che... #civuoleunascienziata.