Crolli e fusioni, ghiacciai lombardi a rischio

Caldo in estate e inverni avari di neve: sotto i tremila metri potrebbero sparire in pochi anni. L’esperto: "Impossibile mantenerli"

Il ghiacciaio dei Forni a Valfurva, in alta Valtellina

Il ghiacciaio dei Forni a Valfurva, in alta Valtellina

Tra crolli ciclopici e rovinose fusioni, lo scioglimento dei ghiacciai prosegue a vista d’occhio in Lombardia. Due episodi avvenuti in estate su Adamello e Fellaria, resi noti di recente da Arpa e Servizio glaciologico lombardo, ne testimoniano la sofferenza. Nel primo caso, un crollo avvenuto la notte fra 24 e 25 agosto sul Mandrone, ha creato una dolina di circa 100 metri di diametro, avviando un fenomeno che «porterà probabilmente a un rapido arretramento della fronte (oltre un centinaio di metri), che in pochissimi anni collasserà in loco», spiega l’Arpa. Nel secondo, i distacchi nel laghetto alla base sono culminati la notte del 7-8 agosto, con un’onda «alta almeno 1-2 metri» che ha travolto anche una telecamera di monitoraggio: «Contestualmente all’arretramento è evidente la perdita di spessore della fronte».

Milano, 13 ottobre 2020 - " Il collasso sul Mandrone a 2.600 metri di altitudine è un esempio del grande scioglimento in atto che si è verificato anche sul Forni nel 2014. Questi crolli sulla fronte della lingua dei ghiacciai sono frutto di un trend in atto da oltre 20 anni". Lo spiega Luigi Bonetti, del Centro nivo-meteo Arpa di Bormio che, con Sgl e ufficio Meteotrentino, ha svolto a settembre il rilievo aerofotogrammetrico sull’Adamello, tra le province di Brescia e Trento. "I nostri ghiacciai, sotto i 3mila metri, non sono più in equilibrio con le condizioni climatiche globali e da un anno all’altro perdono in media 3-5 metri di spessore. In pochissimi anni arretreranno di centinaia di metri e il limite sarà al di sopra dei 3.100-3.200 metri", osserva il tecnico dell’Arpa Matteo Fioletti in un video su Youtube sugli "effetti del cambiamento climatico sul ghiacciaio del Mandrone".

Bonetti, l’inverno farà recuperare qualcosa? "Quest’anno è tra i migliori cinque del ventennio e l’autunno è iniziato bene con diverse nevicate. Ma l’effetto non arriverà sulla lingua del Mandrone: per un’inversione di tendenza servono 3-4 stagioni positive di fila, così che l’accumulo sul bacino generi “un’onda“ fino alla fronte".

Facile a dirsi, ma...? "Sulle Alpi la temperatura è aumentata di circa due gradi negli ultimi 20 anni. La stagione di fusione si è prolungata in autunno e primavera, la perdita di massa sui ghiacciai lombardi è stata del 25%".

Cosa accadrà? "I grandi ghiacciai con bacino alto si stabilizzeranno sul limite delle nevi perenni, oggi a oltre 3mila metri. È il caso del Fellaria con bacino fino a 3.800 metri e fronte molto più in basso. Ma anche del Mandrone che si trova nel complesso più grande d’Italia: ma senza nuovi accumuli e arrivi dall’alto, sotto quel limite non può esserci ghiaccio. Così alla base delle fronti immobili si formano caverne che poi collassano".

E i ghiacciai più piccoli? "Soffrono di più. Da 22 anni monitoriamo il Sobretta: misurava 26 ettari, ora appena 3. Ha un bacino a quota massima di 3.250 metri, è alimentato solo dalle nevicate e ha perso l’80% di massa e 45 metri di spessore. In 15 anni non ha mai accumulato e di questo passo scomparirà nei prossimi 5-6".

Vie d’uscita? Il Green Deal può aiutare? "Tutto può aiutare, anche una maggiore consapevolezza. Ma abbiamo già intaccato una risorsa idrica e se pure raggiungessimo l’impatto zero nel 2050, i tempi di recupero sono lunghi. Intanto, il ghiacciaio dei Forni, ritirandosi, si è diviso in tre parti".