Nei ghiacciai le tracce del disastro di Chernobyl

Ricercatore della Bicocca ha trovato radioattività anomala nella crioconite sui Forni in Valtellina e a Morteratsch in Svizzera

Crioconite in alta quota analizzata durante la ricerca degli esperti della Bicocca

Crioconite in alta quota analizzata durante la ricerca degli esperti della Bicocca

Milano, 22 aprile 2020 -  Dalla Bicocca uno studio che rivela la presenza nei ghiacciai di alti livelli di radioattività riconducibili all’incidente nucleare di Chernobyl e ai test nucleari effettuati in alta atmosfera negli anni ’50 e ’60. Lo studio, condotto dal 32enne milanese ricercatore del dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente della Bicocca Giovanni Baccolo, ha analizzato la crioconite, un sedimento scuro che si accumula sulla superficie dei ghiacciai esclusivamente in estate. Dallo studio pubblicato sulla rivista “The Cryosphere” è emerso che la crioconite contiene un livello di radioattività anomalo rispetto a quello che ci si aspetterebbe in un ambiente incontaminato.

Tramite le misure di radioattività sulla crioconite effettuate dalla Bicocca, all’interno del laboratorio di radioattività del dipartimento di Fisica in collaborazione con il dipartimento di Scienze Ambientali e della Terra, è emerso che la sostanza custodisce radionuclidi non solo naturali, come il piombo-210, ma anche artificiali, di cui è possibile desumerne l’origine. "In estate, nel momento della fusione, l’acqua radioattiva viene filtrata dalla crioconite - entra nel dettaglio Baccolo - che assorbe alcune sue sostanze". Dallo studio a cui hanno partecipato anche l’Istituito nazionale di Fisica Nucleare, l’Università di Genova, l’Università Statale di Milano, l’Università di Pavia e altri istituti di ricerca polacchi e inglesi si registra una presenza sulle Alpi del cesio-137 proveniente dall’incidente di Chernobyl del 1986. Ma non solo, sui ghiacciai alpini dei Forni, in Valtellina, e del Morteratsch, in Svizzera, dove sono stati effettuati i rilievi, la crioconite aveva assorbito "come una spugna" radionuclidi riconducibili ai test nucleari effettuati in alta atmosfera negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso.

«La crioconite – spiega il 32enne - è uno dei materiali naturali più radioattivi che si possano rinvenire sulla superficie del nostro pianeta. Gli unici luoghi dove si trovano livelli di radioattività più elevati sono i siti in cui sono avvenuti incidenti o esplosioni nucleari. A differenza di muschi e licheni, solitamente utilizzati per valutare la contaminazione radioattiva, la crioconite ha mostrato di concentrare la radioattività 10-100 volte di più, a seconda del radionuclide considerato. I risultati ottenuti suggeriscono di considerare in futuro la crioconite per studiare il livello di integrità ambientale degli ecosistemi d’alta quota".

I dati sono stati per la prima volta confrontati con quelli provenienti da ghiacciai situati in altri contesti geografici: "Tra questi l’arcipelago artico delle Svalbard o i ghiacciai del Caucaso - racconta il ricercatore - e quello che abbiamo potuto constatare è che l’accumulo di radioattività nella crioconite è comune a tutti, l’unica differenza sono le sostanze che il sedimento scuro assorbe". Con il tempo nella crioconite possono immagazzinarsi livelli di radioattività importanti ma nonostante ciò "non ci sono rischi per l’ecosistema e per le persone – chiarisce Baccolo – poiché non appena la sostanza entra in contatto con altri ambienti come torrenti e fiumi perde la sua carica. Sarà oggetto della prossima ricerca comprendere gli effetti di tutto ciò nelle aree limitrofe ai ghiacciai".