Strage di Bologna: l'ex Br Faranda e i segreti della prigione di Moro

L'appartamento, di proprietà dei servizi segreti, ospitò tre anni dopo anche i Nar. Ma lei nega ogni contatto tra il Sisde e le Br

L'ex Br Adriana Faranda in aula  per testimoniare davanti alla Corte d'Assise

L'ex Br Adriana Faranda in aula per testimoniare davanti alla Corte d'Assise

L’ex Br Adriana Faranda in aula a Bologna per testimoniare davanti alla Corte d’Assise, presieduta dal giudice Francesco Maria Caruso, nell’ambito del nuovo processo sulla strage del 2 agosto 1980 alla stazione, che vede come principale imputato l’ex Avanguardia Nazionale Paolo Bellini. Faranda, in qualità di testimone assistito, è stata convocata per parlare dell’appartemento di via Gradoli 96 a Roma, dove nel 1978 si trovava il covo del brigatista Mario Moretti durante i giorni del sequestro Moro e che ospitò anche un rifugio dei Nar tre anni dopo, nel 1981.

 Secondo le indagini della Procura generale la maggior parte degli appartamenti di via Gradoli 96 erano gestiti da tre società immobiliari (la Caseroma srl, la Immobiliare Gradoli srl e la Monte Valle Verde) legate ai servizi segreti, in particolare al Sisde. L’ex brigatista è stata chiamata a riferire anche su Domenico Catracchia, amministratore di gran parte degli immobili di via Gradoli, imputato in questo procedimento per false informazioni al pm al fine di sviare le indagini. Infine a chiarire alcune circostanze legate all’appartamento di via Giulio Cesare 47 a Roma, che nel 1979 ospitò lei e Valerio Morucci e dove entrambi furono arrestati il 30 maggio di quell’anno. 

«Non ero a conoscenza che in via Gradoli 96 ci fossero appartamenti riconducibili ai servizi segreti e per quello che mi risulta non ho mai neanche avuto il sospetto che ci fossero contatti tra i brigatisti e i servizi», ha detto l’ex Br Faranda, rispondendo alla Procura generale. Faranda è stata ascoltata davanti alla Corte d’Assise per oltre due ore, rispondendo proprio a domande sul covo di via Gradoli, usato dalla Br durante i giorni del sequestro Moro e tre anni più tardi anche dai Nar. 

Il nodo è evidente. Dall’inchiesta della Procura emerge che gran parte degli appartamenti di via Gradoli 96 erano gestiti da società o persone riconducibili ai servizi segreti, in particolare al Sisde. L’ex brigatista, entrata nell’organizzazione terroristica alla fine del 1976 e poi uscita dal gruppo assieme a Valerio Morucci per contrasti scaturiti in seguito all’uccisione di Moro, essendo contraria al suo omicidio, venne arrestata alla fine del maggio 1979 mentre si trovava in un appartamento di viale Giulio Cesare 47, sempre a Roma. Con lei e Morucci venne catturata anche la proprietaria dell’appartamento, Giuliana Conforto, figlia di Giorgio, spia del Kgb e come ha ricordato il sostituto Pg Umberto Palma, «Giorgio Conforto faceva anche il doppio gioco per i servizi Usa e italiani». 

Palma ha poi sottolineato un’altra ‘coincidenza’, oltre a quella relativa all’utilizzo dell’appartamento di via Gradoli, legato ai Servizi, da parte delle Br, ovvero che l’avvocato di Giuliana Conforto, Alfonso Cascone, “era un agente del Viminale”. Un’ulteriore stranezza sottolineata dai pg, ma definita dalla testimone come “l’ennesima coincidenza”, è il fatto che lo stabile di via Massimi 91 a Roma in cui aveva trovato rifugio il brigatista Prospero Gallinari ospitava anche il cardinale Egidio Vagnozzi, che aveva contatti con i Servizi e con Giorgio Di Nunzio, faccendiere legato a Licio Gelli.

 Domani e venerdì la Corte si sposterà in Tribunale a Roma per ascoltare alcuni testimoni che per vari motivi non possono venire a deporre a Bologna, tra cui l’ex prefetto Umberto Pierantoni, già responsabile della Direzione centrale della Polizia di prevenzione del ministero dell’Interno, l’ex terrorista di estrema destra Paolo Aleandri e alcuni parenti di Federico Umberto D’Amato, ritenuto dagli inquirenti uno degli organizzatori e finanziatori della strage alla stazione di Bologna.