Emis Killa a Milano: "Noi, ragazzi di periferia con la fame"

Il giovane rapper: "Un terzo di canzoni italiane in radio? Mi sparo..."

Emis Killa

Emis Killa

Milano, 22 febbraio 2019 - «Questa è Milano, non chiedermi come va/La amo, la odio, sta city è la mia metà/La merda in cui vivo fa parte della mia realtà/Sporca come l’aria che respiro/Da quando son qua». Emis Killa aveva ventun’anni quando usciva “Milano male”, nel 2010: a un orecchio educato un atto d’amore pieno d’accuse (vennero pure le solite polemiche di chi crede che la musica debba essere garbata, si veda alla voce Sanremo 2019). Ma a un orecchio educato al rap, era un atto d’amore e basta, con quel «sta city è la mia metà» che sembrava una richiesta di matrimonio. Eppure quando ha dovuto scegliere dove vivere Emis Killa ha preferito la Vimercate in cui è nato. A Milano viene per lavoro. A ottobre è uscito “Supereroe”, il suo quarto album. Da marzo sarà giudice di «Future Legend», contest musicale online targato Coca Cola in cui il pubblico sceglierà il talento di domani.

Più europeo, italiano o vimercatese?

«Sono un mix: Emiliano è nato e cresciuto in Brianza da madre palermitana, parlando dialetto siciliano in casa. Emis Killa è cresciuto a Milano, frequentando e rappresentandoMilano. Direi che mi sento italiano...».

La provincia ha smesso di essere la gabbia che tutti pensavano?

«Se ci stai per tanto tempo finisci per amare la tua gabbia, la tua prigione diventa casa. Non ho sofferto la provincia. Anzi, ci ho comprato casa, quindi è stata una scelta. È un limite fino a che sei limitato tu. Nessuno ti vieta di prendere l’auto e andare a Milano. Le persone certo sono un po’ più chiuse mentalmente, ancora si straniscono per certi tatuaggi, se cambi macchina ne parlano tutti».

Questo come la condiziona?

«Non mi frega nulla».

Periferie fucine di talenti: cosa c’è lì chemanca nei centri?

«La fame. Di arrivare e prenderti tutto. Lì non avevi la varietà di opportunità dai centri. A Vimercate non c’è mai stato un concerto rap. Lo ascoltavano in due. Dovevo prendere i mezzi, ogni giorno farmi un’ora e mezza di strada per andare a Milano, o uscire con quelli più grandi con la macchina per andare nei centri sociali a sentire i rapper. Era già una selezione: se riuscivi a introdurti in ‘sto mondo mediamente avevi più voglia di chi aveva tutto a portata di mano».

Perché parla al passato?

«Il rap oggi è diventata una realtà anche in provincia: vedi passare ragazzini che lo ascoltano sul telefonino. Oggi è più facile, grazie al web. Io dovevo andare in edicola e chiedere al giornalaio di procurarmi la rivista che compravo solo io. C’era tutto un altro sbattimento dietro».

Quindi è diminuita la fame? «È un po’ come aprire le porte a tutti. Insieme alle persone giuste entrano quelle sbagliate. Spesso escono grandissime s... in termini musicali. Ma son contento della “liberalizzazione” del rap: ho lottato per questo».

Cosa frequenta di Milano?

«Non frequento più i club o i luoghi di aggregazione. La Mecca del freestyle era il Muretto di San Babila, che praticamente non esiste più perché si è disfatta la cricca. Poi i centri sociali: Leoncavallo, Cantiere, Pergola, Boccaccio a Monza».

Da dove viene l’ispirazione?

«Dal subconscio, è poco traducibile in parole, viene dalla vita, da altra musica».

Libri o film decisivi?

«L’odio di Kassovitz, City of God, Wild Style. E “Fa’ la cosa giusta” di Spike Lee. I libri… Il potere di adesso mi piace di brutto. Il profeta di Gibran. Poi Iceberg Slim: tutti belli i suoi libri. E la Trilogia della città di K.»

Un terzo di musica italiana in radio: ha senso?

«Ho sentito stà roba, mi sparo».

Eppure la avvantaggerebbe.

«Non passerebbero comunque la mia. Ho rispetto per l’Italia, ma gli artisti italiani cool non sono così tanti. Preferisco ascoltare uno sconosciuto dall’altra parte del mondo che però mi ispira qualcosa».

Ora che il rap è mainstream c’è il pericolo che si snaturi?

«No, anzi. Una volta bisognava strizzare l’occhio al pop, parlare a un pubblico più ampio per passare in radio. Ora, per quanto ci sia ancora un’esclusione dai canali, credo ci sia un’integrazione maggiore. Si possono fare progetti che diventano mainstream rimanendo genuini».

Una direzione in cui vorrebbe andasse il rap?

«Ok le tecnologie nuove per far suonare meglio la musica, però mi piacerebbe che tornasse quella roba del campionamento preso dalle altre canzoni, o comunque delle basi un po’ più strumentali. Questo eccesso di sintetizzatori, di 808, alla lunga mi ha un po’ rotto... Ma tutto sommato non mi dispiace la piega che sta prendendo il rap».