Da Benno agli omicidi di Avellino e Reggio Emilia: perché i figli uccidono i genitori

Dopo Pietro Maso ed Erika e Omar una nuova ondata di omicidi famigliari

Laura Perselli e Peter Neumair

Laura Perselli e Peter Neumair

Pietro Maso, Erika e Omar, Benno Neumair, Elena e Giovanni, Marco Eletti. Figli, prima che assassini. Figli che uccidono i genitori. Figli che pongono fine alla vita delle persone che hanno dato loro la vita. Il ritrovamento del cadavere di Peter Neumair, padre di Benno, ha riportato prepotentemente alla ribalta il tema degli omicidi famigliari. "Parricidio", in gergo tecnico.  Nella pratica si traduce nella distruzione di una famiglia. Nel corso degli ultimi decenni sono stati diversi i casi in cui i figli hanno ucciso uno o entrambi i genitori. Più rara, e in qualche caso come "effetto collaterale" rispetto al piano principale, è l'uccisione di fratelli o sorelle. 

Tre casi in pochi mesi

Dall'inizio del 2021 sono stati ben tre i casi di parricidio in Italia. Il primo è stato quello dell'omicidio di Laura Perselli e Peter Neumair a Bolzano. Poco dopo a confessare è il figlio Benno Neumair. Ad essere ritrovato per primo è il cadavere della madre Laura, mentre per il corpo del padre Peter bisogna attendere di più. Poi a distanza incredibilmente ravvicinata sono arrivati il delitto di Avellino prima e subito dopo quello di Reggio Emilia.

I precedenti 

Quello di Pietro Maso è uno dei più noti casi di omicidio famigliare di tutta Italia. Anche perchè il movente è di quelli che fanno rabbrividire: il denaro. Il 17 aprile 1991 Pietro Maso, allora neppure ventenne, aiutato da tre amici uccide entrambi i genitori, Antonio Maso e Mariarosa Tessari. L'arresto avviene due giorni dopo. La fine della sua condanna era prevista per il 2018, ma dal 13 aprile 2015 Pietro Maso è in libertà. In libertà sono anche Erika De Nardo e Mauro Favaro, noto come Omar. I due erano adolescenti quando il 21 febbraio del 2001 si sono macchiati del duplice omicidio di Susanna Cassini e Gianluca De Nardo, rispettivamente mamma e fratello di Erika. In quel caso a sconvolgere l'opinione pubblica non era stato soltanto il terribile delitto in sè, ma anche la predisposizione del piano omicida: i due avrebbero dovuto colpire solo la madre, Susy Cassini, ma poi il fratellino di Erika, Gianluca, sentendo le urla, era intervenuto e quindi nella mente criminale dei due assassini si era resa necessaria anche la sua eliminazione. Dopo il duplice omicidio, la coppia di fidanzati aveva diffuso la versione secondo la quale si sarebbe trattato di una rapina messa in atto da una banda di delinquenti albanesi. Versione del tutto smontata pochi giorni dopo dalle forze dell'ordine e la colpa era poi ricaduta sui reali responsabili di quella mattanza, ovvero i due adolescenti Erika e Omar. Quest'ultimo è stato scarcerato il 3 marzo 2010, Erika De Nardo è invece tornata in libertà il 5 dicembre 2011.

Perché i figli uccidono

I moventi sono i più diversi: si va dai soldi sino alla necessità di togliere di mezzo un ostacolo a una relazione di coppia, passando per il bisogno di porre fine a contrasti famigliari nei quali ad essere al centro delle reprimende da parte dei genitori è proprio l'offender. Motivazioni che non giustificano di certo nessun tipo di aggressione, figurarsi un omicidio. Eppure nella visione distorta di chi commette un crimine così efferato come è un assassinio l'eliminazione fisica del soggetto che crea il problema è l'unico modo per risolvere il problema stesso. Così Pietro Maso voleva avere denaro per vivere alla grande, Marco Eletti - sospettato per l'omicidio di Reggio Emilia - avrebbe voluto i proventi della vendita di due appartamenti da parte dei genitori, Erika De Nardo si sentiva molto distante dagli obiettivi che la madre aveva per lei, Benno Neumair aveva contrasti costanti con i genitori ed era sempre particolarmente prepotente in famiglia, Elena Gioia voleva continuare a vivere la relazione con il fidanzato Giovanni Limata e vedeva la propria famiglia come un ostacolo. Dal punto di vista psicologico, le motivazioni possono essere individuate nella crisi identitaria e nell'instabilità che caratterizzano la società moderna. Un consumismo portato agli eccessi, un consumismo anche di emozioni. Un consumismo che non attribuisce il giusto valore alla vita. Una tendenza dettata anche dall'incredibile numero di prodotti televisivi - serie tv in particolare - ormai estremamente accessibili e che raccontano sempre più di serial killer, violenze, piani criminosi. Che siano documentari o prodotti di fantasia poco importa: serie tv e social network contribuiscono a dare una visione della vita svalutata e quasi "rigenerabile". Una visione irreale. Da non trascurare c'è anche il consumismo delle emozioni, ovvero quel "tutto e subito" che ha tolto soprattutto ai giovani tanto il gusto dell'assaporare quanto la pazienza del sacrificio. E quindi se c'è un ostacolo, nella visione di menti distorte, bisogna eliminarlo il prima possibile. A qualunque costo. Ad avvalorare questa tesi contribuisce la premeditazione degli omicidi. Non è mai un raptus, così come non lo è stato nel caso dell'omicidio di nonna Rosina da parte del nipote Enea a Montecassiano nelle Marche. Tutto pianificato nel caso di Pietro Maso, di Erika e Omar, di Elena e Giovanni. Tutto frutto di ragionamenti, di suggestioni che poi si traducono nella più terribile delle pratiche.

L'onda mediatica

Pietro Maso era stato raggiunto in carcere da una serie infinita di lettere di fan femminili e così era successo anche per Erika De Nardo, per la quale si era ipotizzato persino un fidanzamento epistolare con un fan che le aveva scritto per anni. L'assassino può suscitare ammirazione proprio nell'ottica di una progressiva diminuzione del valore della vita. Da un lato il fascino del male - le storie del serial killer americano Ted Bundy e di un criminale come Pablo Escobar fanno ben comprendere come a volte il lato oscuro possa incuriosire anche persone che non hanno mai compiuto reati -, dall'altro la non totale percezione di quanto il male possa essere devastante.