Coronavirus, cura plasma:"Medici lombardi pionieri, terapia importante per pazienti gravi"

Da Yale le parole dell'immunologo bresciano Alessandro Santin: senza vaccino o cure efficaci, l'immunizzazione passiva è la strada che possiamo percorrere in maniera immediata

Raccolta di plasma iperimmune per curare il Coronavirus (ImagoE)

Raccolta di plasma iperimmune per curare il Coronavirus (ImagoE)

Milano, 25 maggio 2020 - L'oncologo e immunologo bresciano Alessandro Santin, che lavora nell'università di Yale, in collegamento con il sottosegretario della Regione Lombardia Alan Rizzi, ha affrontato il tema della cura col plasma, una delle strade percorse dalla scienza italiana e internazionale nella lotta al Coronavirus: "Bisogna capire il momento storico. Non abbiamo ancora un vaccino né terapie mirate efficaci di conseguenza siamo in una situazione di emergenza - ha detto Santin -  E l'immunizzazione passiva, cioè l'uso di plasma di pazienti convalescenti, rappresenta una terapia che possiamo usare in maniera immediata per pazienti che sviluppano forme gravi".

Santin ha inoltre ricordato che "questo tipo di approccio (il trattamento con il plasma, ndr) è supportato e approvato dalla Fda, la Food Drug Administration, di norma sempre rigida su ogni forma di nuova terapia. In questo caso specifico la Fda non solo ne ha approvato l'uso ma ha contattato tutte banche del sangue americane e chiesto all'American Red Cross di coordinare la raccolta del sangue e la distribuzione i tutti gli ospedali americani''.

"Negli Usa ci crediamo molto - ha spiegato -. Abbiamo trattato 15mila pazienti con plasma iperimmune. I primi dati su 5mila pazienti ci dicono che si è dimostrata una terapia sicura, con effetti collaterali in meno dell'1% dei casi. Stiamo investigando pazienti che non hanno ricevuto plasma per riuscire a capire se questa terapia abbassi mortalità. Dati preliminari ci inducono a pensare questo.  Auspico che questo trattamento possa essere reso disponibile in tutti gli ospedali che trattano Covid con forme gravi". Per il medico bresciano gli ospedali San Matteo di Pavia e il Carlo Poma di Mantova sono stati "i pionieri in Italia di questo trattamento", e "so che hanno anticipato una riduzione della mortalità dal 16 al 6%, che è una cosa meravigliosa".