Covid, "le varianti nascono come reazione al vaccino". Ecco perché non è così

Medici e ricercatori insistono: più il virus circola, più ha chance di mutare. Ecco perché è importante vaccinare in fretta più persone possibili

Vaccino

Vaccino

L'ultimo a rilanciare l'ipotesi che vaccinare contro il Covid abbia come conseguenza la comparsa di nuove varianti è stato il leader della Lega Matteo Salvini. "Le varianti nascono come reazione al vaccino. Se provo ad ammazzare il virus, il virus cerca di sopravvivere variando, mutando", ha detto nel corso di un'intervista all'Aria che tira su La7. Peccato che, lo dicono medici e scienziati, questa affermazione non sia vera, anche se viene usata spesso nella narrazione no Vax per convincere non solo dell'inutilità, ma anche della pericolosità di vaccinare in piena pandemia. 

La dichiarazione di Salvini è stata smentita - se non addirittura sbeffeggiata - un po' ovunque, tanto che la Lega ha ritenuto di specificare che il segretario si riferiva a una pagina dell'Istituto superiore di sanità in cui, tra "le ipotesi avanzate" per elencare i "motivi che determinano lo sviluppo di una variante di un virus", si cita la "pressione selettiva esercitata dalla risposta immunitaria, da farmaci o da vaccini". Nella pagina dell'Iss dedicata alle varianti si legge che: "i virus sono sottoposti a una forte pressione selettiva che riguarda soprattutto le proteine dell'involucro esterno più esposte all'attacco del sistema immunitario. Sotto l'azione dei vaccini o anche dei farmaci, che tendono a ridurre la sua moltiplicazione, è più probabile che quegli errori casuali (mutazioni) che danno al virus variato maggiori probabilità di resistere all'attacco degli anticorpi o all'azione dei farmaci virali, prendano il sopravvento. Questo risulta in un'accelerazione del naturale cambiamento (evoluzione) del virus".

Cosa vuol dire? E perché non significa che "le varianti nascono come variazioni al vaccino"? Vediamolo, grazie anche alle risposte anti fake news del sito dottoremaeveroche.it creato dell'Ordine dei Medici per fare informazione scientifica chiara e corretta.

Come si generano le varianti dei virus? 

Ogni volta che un virus entra in una cellula e comincia a usare i suoi apparati per farle produrre un enorme numero di copie di sé è possibile che avvengano errori, detti mutazioni. Nella maggioranza dei casi non cambia molto, ma è possibile che dall’errore involontario derivi una versione del virus migliore. Quando accade, per fortuna molto di rado rispetto all’enorme numero di replicazioni che avvengono in natura, una o più di queste modifiche possono dar luogo a una variante che si trova in qualche modo avvantaggiata rispetto alla versione originale: per esempio, come nel caso della variante Delta, perché comporta una carica virale nelle alte vie aeree molto maggiore (si parla di oltre 1.000 volte), che permette al virus di diffondersi più facilmente contagiando un maggior numero di persone, ottimizzando le sue possibilità di replicarsi di nuovo. Come in ogni altro fenomeno evolutivo, a selezionare uno o più caratteri è la pressione esercitata dall’ambiente circostante: avrà la meglio sulle altre la versione più adatta alle circostanze specifiche, quella che permette di sopravvivere fino ad avere una maggiore discendenza. Lo stesso accade ai batteri, alle cellule e a ogni organismo vivente.

Perché i vaccini non "generano le varianti"?

Roberto Burioni, su Twitter ma citando un suo studio pubblicato a giugno su Nature, ha fatto chiarezza sull'argomento, spiegando perché è vero che varianti più resistenti e pericolose possano sfuggire al vaccino, ma è falso che il vaccino stesso spingerebbe il virus a mutare per sopravvivere. "A un certo punto della pandemia è arrivato in tempo record, per la prima volta nella storia dell’uomo, un vaccino molto efficace. A questo punto la variante conveniente per il virus non è più solo quella che si diffonde di più, ma anche quella che riesce a infettare i già vaccinati. Una simile variante, in assenza di vaccino, non avrebbe alcun vantaggio e non emergerebbe mai. Ma in presenza di vaccinati potrebbe emergere. Quindi, in un certo senso, è la vaccinazione a tappeto a creare le condizioni nelle quali un virus resistente potrebbe emergere. Però”, l’avvertimento, “non fate l’errore di considerare questo un effetto negativo dei vaccini. Senza vaccini la variante non potrebbe emergere, semplicemente perché troverebbe la strada libera verso il contagiare tutto il mondo. Il vaccino è un ostacolo che il virus prova a superare con una variante. Ci riuscirà? Questo non possiamo saperlo”.

Riassumento: il virus non cerca di aggirare il vaccino, mutando. Le mutazioni sono casuali. Potrebbe - ma non è ancoa successo - verificarsi una mutazione in grado di "bucare" il vaccino: in un mondo vaccinato, sarebbe la mutazione "vincente".

Come è nata questa idea?

Ma com'è nata l'idea per certi versi perversa, che fossero proprio i vaccin a causare le varianti? Dal momento che di varianti si è cominciato a parlare quando è iniziata la campagna vaccinale - soprattutto in seguito alle dichiarazioni di alcuni medici e ricercatori che hanno collegato i due fenomeni – si è diffusa nell’opinione pubblica l’idea che siano state le campagne vaccinali stesse a indurre il virus a trovare nuovi modi per sfuggire all’azione degli anticorpi prodotti dal sistema immunitario. Non è così.

Spesso, tuttavia, il dilagare di un’idea scorretta parte da una possibile verità che viene mal interpretata, distorta, amplificata. 

Quando sono nate le varianti del Sars-CoV2?

La variante alfa (quella che fino a qualche tempo fa chiamavamo “inglese”) è emersa nel sud-est dell’Inghilterra a settembre 2020, ben prima che i vaccini anti Sars-CoV-2 venissero autorizzati e si cominciasse a vaccinare a tappeto la popolazione. Lo stesso si può dire delle varianti beta e gamma, che si sono selezionate rispettivamente in Sud Africa e Brasile alla fine del 2020, quando il virus circolava in maniera estesa in una popolazione non vaccinata, provocando rispettivamente il maggior numero di casi e vittime di tutto il continente africano e la terribile recrudescenza della pandemia nella città di Manaus, che si credeva già largamente protetta dall’immunità creata nel corso della prima ondata. La variante delta, infine, è stata identificata per la prima volta nell’ottobre del 2020 nello stato indiano del Maharashtra ed è poi dilagata nella primavera del 2021 in Nepal e India, in circostanze simili, su una popolazione vaccinata per non più del 3%. Infine, non dimentichiamo che già la prima versione del Coronavirus responsabile della prima ondata in Italia, chiamato in sigla “D614G”, era una variante più contagiosa rispetto al ceppo originale di Wuhan. Finora non è emersa una variante in grado di sfuggire al vaccino, e - sostiene Burioni - "nulla fa pensare che possa emergere, e se emergesse potrebbe anche essere meno patogena o meno contagiosa”.

Cosa fare? 

Poiché più il virus circola e si replica (e questo accade solo nelle cellule), più ha probabilità di mutare, sembra evidente che  "la strategia migliore che abbiamo per impedire a varianti virali resistenti al vaccino di emergere è vaccinare tutti quanti il prima possibile in modo da impedire al virus di replicarsi, e di provare a fregarci”, precisa ancora Burioni.

Perché non conviene far circolare il virus liberamente?

Peraltro, quanto detto prima spiega anche perché non ha senso la posizione di chi dice che sarebbe meglio far infettare il numero maggiore di persone e arrivare a un'immunità di gregge. Infatti la pressione che potrebbe in teoria essere esercitata dall’immunità indotta dai vaccini non è sostanzialmente differente da quella che potrebbe derivare da una popolazione che ha già incontrato il virus, come accaduto a Manaus. Anche per questo l’idea di lasciar circolare il virus perché si crei per via naturale quella che viene impropriamente chiamata immunità di gregge, o immunità di gruppo, è sconsigliata dagli esperti, oltre al fatto che è ritenuta impraticabile e non etica. Maggiore è il numero di persone infette – in maniera sintomatica o asintomatica, con forme gravi o leggere importa poco, se non in relazione al carico virale presente – maggiore è il numero di replicazioni virali e maggiore la probabilità che emergano nuove varianti.