Covid, l'appello dei presidi: "Rientro a scuola ingestibile, dateci 15 giorni di Dad"

Lo scopo è aumentare la copertura vaccinale degli alunni. L'allarme dei referenti Covid: “Monitoraggio impossibile, spesso le segnalazioni dei positivi arrivano in ritardo o non arrivano”

Illustrazione di Arnaldo Liguori

Illustrazione di Arnaldo Liguori

La riapertura delle scuole il 10 gennaio rischia di trasformarsi nella cronaca di un disastro annunciato. All’impennata di contagi e alla bassa copertura vaccinale dei bambini tra 5 e 11 anni, si uniscono i problemi e i ritardi nel monitoraggio degli studenti positivi e nella messa in quarantena delle classi. Per questo l'Associazione nazionale presidi ha chiesto al governo "una programmata e provvisoria sospensione delle lezioni in presenza (con l'attivazione di lezioni a distanza) per due settimane" così da dare alle famiglie la possibilità di vaccinare i figli. Secondo i 2mila presidi che hanno firmato l'appello, questo approccio "è sicuramente preferibile ad una situazione ingestibile che provocherà con certezza frammentazione, interruzione delle lezioni e scarsa efficacia formativa". In risposta, il Governo ha ribadito in queste ore che non ci sarà alcun rinvio: il 10 gennaio si torna in classe.

Le norme approvate dal Governo per riaprire le scuole si basano sulla regola dell'1-2-3. Prevedono che basta un solo caso positivio nelle materne e negli asili nido per mettere in quarantena le classi. Alle elementari, invece, con due contagi è prevista la didattica a distanza per 10 giorni. Per medie e superiori, una classe andrà in Dad per 10 giorni se ci sono tre positivi. Ma questo approccio si scontra con i problemi di monitoraggio segnalati dagli istituti scolastici a dicembre (quando ancora i casi non avevano raggiunto il picco degli ultimi giorni).

“A volte dalle Asl non arrivano le segnalazioni di casi positivi o arrivano in ritardo, quando la classe teoricamente in quarantena si trova già a scuola”, spiega al Giorno Rosolino Cicero, presidente dell’Associazione nazionale collaboratori dei dirigenti scolastici. “Anzi, spesso siamo noi che facciamo le segnalazioni all’Asl: è un paradosso. Se le famiglie non ci comunicassero la positività di un alunno, potremmo non venirlo neanche a sapere”. I presidi hanno anche chiesto al Governo di garantire mascherine FFP2 a tutti e di effettuare, fino al primo febbraio, una massiccia campagna di testing per verificare se il sistema riesce a praticare i tamponi. I contagi, infatti, sono in largo aumento. Ma andiamo con ordine.

 

I contagi tra gli studenti

Nell’ultima settimana, un quarto di tutti i nuovi casi in Italia ha riguardato giovani in età scolare. Secondo i dati dell’Istituto superiore della sanità (Iss), a fine dicembre l’incidenza di contagi nella fascia 10-19 anni era tra le più alte del Paese, come si vede nel grafico qui sotto.

Ma i rapporti sanitari mostrano una situazione critica anche tra i bambini di età inferiore a 12 anni. Il bollettino dell’Iss pubblicato il 4 gennaio, in particolare, segnala che “nella classe di età 6-11 anni si evidenzia, a partire dalla seconda settimana di ottobre, una maggiore crescita dell’incidenza rispetto al resto della popolazione in età scolare, con un’impennata nelle ultime settimane”.

 

La vaccinazione tra i giovani

Il punto è che alla riapertura delle scuola – se escludiamo le superiori – gli alunni immunizzati saranno una minoranza. Tra le fasce in età scolare, quella meglio coperta è quella di età compresa tra 12 e 19 anni, con il 73 per cento di giovani immunizzati. Il problema è per chi frequenta materne, elementari e media. Tra 5 e 11 anni è vaccinato con prima dose soltanto l’11 per cento dei bambini. Per questo mercoledì i presidi hanno chiesto al Governo un mese di didattica a distanza per aumentare la copertura vaccinale.

In questo dato non c’è niente di strano, dato che la campagna vaccinale per i più piccoli è iniziata solo a metà dicembre. Tuttavia, a causa della contagiosità della variante Omicron, una percentuale così bassa di vaccinati nelle classi rischia di innalzare vertiginosamente la curva dei contagi. Lo ha sottolineato alcuni giorni fa il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta: “Se decidiamo di tenere aperte le scuole, bisognerà chiudere qualcos’altro perché non abbiamo tanti margini per far circolare il virus”.

 

I difficili rapporti tra scuole e strutture sanitarie

“Siamo le sentinelle della scuola, ma le Asl rispondono alle nostre segnalazioni dopo 48 o 72 ore. Non c’è una tempestività sufficiente a tutelare la comunità scolastica”, afferma il presidente dell’associazione dei vice-presidi Cicero. “Basti pensare che molte delle segnalazioni arrivano dai rappresentati dei genitori, tramite le chat o i social media, che sopperiscono alle carenze del sistema ufficiale”.

In un questionario somministrato in tutta Italia a oltre cento referenti Covid delle scuole, questi problemi emergono chiaramente. Come indicato nel grafico qui sotto, due terzi degli intervistai lamentano una pessima comunicazione con le strutture sanitarie.

Lo scambio di informazioni con le strutture sanitarie a volte è inesistente. Il ministero della Salute, a ottobre 2021, ha disposto che “in ogni ASL siano identificati dei referenti per ogni scuola, i quali possano intervenire tempestivamente supportando il referente scolastico Covid-19/dirigente scolastico e prioritizzando i test”.

I referenti sanitari, però, spesso non ci sono. “Siamo completamente abbandonati”, denuncia Cicero, che è anche vice preside dell’istituto Saladino di Palermo. “Qui in Sicilia molte scuole non hanno un referente, vanno a tentoni. Se io oggi volessi chiamare un referente del dipartimento sanitario non saprei chi cercare”. Oltretutto, i referenti scolastici sono in stato di agitazione sindacale perché per questo lavoro ricevono un compenso che nella stragrande maggioranza dei casi non supera i 500 euro e in alcuni casi non è pagato affatto.

In tutto questo, conclude Cicero, “sono due mesi che ho chiesto formalmente un incontro con il ministero dell’Istruzione per segnalare le criticità nel monitoraggio. Tuttavia, al contrario di quanto accadeva coi ministri precedenti, non abbiamo avuto riscontro né dal ministro Bianchi né dalla sua segreteria. C’è in gioco la salute dei nostri studenti, ma nessuno ci ha risposto”.