Covid, vaccini e Omicron: perché questa ondata è diversa

L’impennata senza precedenti di contagi non ha messo in crisi il sistema sanitario, ma sta colpendo duramente i non vaccinati

Illustrazione di Arnaldo Liguori

Illustrazione di Arnaldo Liguori

Con l’avanzare della variante Omicron – circa 2-3 volte più contagiosa della Delta – l’Italia è di fronte alla maggiore impennata di contagi dall’inizio della pandemia, ma l’impatto sugli ospedali è molto inferiore rispetto al passato. In termini di ricoveri e decessi, questa quarta ondata sta provocando danni soprattutto tra la popolazione non vaccinata.

Esaminiamo i dati. Come si vede nel grafico qui sotto, durante la seconda e la terza ondata (al centro) ad ogni aumento dei casi positivi seguiva – dopo un paio di settimane – una crescita dei decessi. Al contrario, nell’attuale quarta ondata, all’aumento esponenziale di contagi non è seguito un aumento comparabile di decessi.

Questa tendenza non si registra solo in Italia. Anche nel Regno Unito e in Israele, dove la crescita dei casi è iniziata in estate, le curve hanno lo stesso andamento: nonostante il grande numero di contagi, i decessi rimangono piuttosto contenuti.

Quello che c’è di diverso tra la quarta e le prime tre ondate è la copertura vaccinale. In Italia, ad oggi, quasi l’80 per cento della popolazione (46 milioni di persone su 60 milioni) ha fatto almeno due dosi di vaccino contro il Covid-19. Secondo gli studi prodotti dalla comunità scientifica nelle ultime settimane, la vaccinazione protegge dalle forme gravi della malattia anche contro la variante Omicron.

La protezione dei vaccini è confermata dagli ultimi dati dell’Istituto superiore della sanità. Dal grafico sottostante si può vedere che i non vaccinati vengono ospedalizzati mediamente 13 volte di più rispetto ai vaccinati, e questo nonostante la malattia provocata da Omicron sembri essere più lieve rispetto alle precedenti.

La popolazione non vaccinata è quella che subisce le conseguenze peggiori della malattia. Il grafico qui sotto mostra che, rispetto a coloro che sono vaccinati con due dosi da meno di cinque mesi, i non vaccinati finiscono in terapia intensiva 20 volte più spesso e hanno un tasso di morte 13 volte maggiore.

In poche parole: il virus sta circolando con una libertà che non ha mai avuto, infettando – benché in misura diversa – sia vaccinati, sia non vaccinati. Per un vaccinato, tuttavia, contrarre oggi il coronavirus non vuol dire essere malato, perché difficilmente svilupperà forme gravi o finirà in ospedale (soprattutto se ha meno di 80 anni).

Al contrario, data l’enorme trasmissibilità della variante Omicron e l’allentamento delle restrizioni generali, una persona non vaccinata rischia con frequenza sempre maggiore il contagio, il ricovero e la morte (soprattutto se anziana o affetta da altre patologie). E questo rischio, per quanto ne sappiamo al momento, sembra destinato a crescere nei tempi a venire.