Naufragio Costa Concordia, sei mesi all’avvocato delle bufale

Si era inventato anche un aborto

DOLORE Il relitto della Concordia al Giglio; sotto,  Giacinto Canzona

DOLORE Il relitto della Concordia al Giglio; sotto, Giacinto Canzona

Monza, 23 ottobre 2018 - Sei mesi di reclusione per la falsa tragedia dell’aborto nel naufragio della Costa Concordia, una tragedia inventata e portata in tv. È la condanna inflitta dal giudice del Tribunale di Monza Simona Caronni per truffa all’avvocato romano Giacinto Canzona, già salito alla ribalta delle cronache per una serie di falsi scoop, di fake news. A processo la vicenda della falsa coppia che raccontava in tv di avere perso il bambino che la ragazza aveva in grembo a causa del naufragio della Costa Concordia, nel 2012.

L’imputato aveva assoldato una ragazza di Cassago, nel Lecchese, e un ragazzo di Roma ad impersonare la coppietta e per registrare una puntata di Pomeriggio Cinque, il programma presentato da Federica Panicucci. Un’intervista in studio che poi non era andata in onda perchè Striscia la Notizia aveva scoperto il raggiro. I due figuranti erano coimputati per truffa e la ragazza anche per sostituzione di persona, per avere firmato la liberatoria per l’intervista al programma televisivo di Canale 5 con il nome della donna che doveva sostituire, su indicazione di Canzona. Ma il giudice li ha assolti, condannando anzi Giacinto Canzona ad un risarcimento dei danni alla ragazza, che si è costituita parte civile al processo, perché a sua volta raggirata dall’avvocato.

Il rappresentante della pubblica accusa aveva chiesto per tutti gli imputati la condanna a 8 mesi di reclusione. Mentre i difensori degli imputati avevano chiesto di essere assolti dalle accuse. Anche Giacinto Canzona (che non si è mai presentato personalmente al processo) era imputato e parte civile al dibattimento davanti al Tribunale di Monza perché ha sostenuto di essere stato all’oscuro del raggiro sulla falsa identità della coppietta e il suo difensore ha dichiarato che la trasmissione non è andata in onda e quindi il reato contestato non è mai stato commesso.

«La giovane non sapeva che la notizia non fosse vera ed è stata indotta da Canzona a fare la firma falsa sulla liberatoria, che era già stata compilata con il nome indicato da Canzona - ha dichiarato invece l’avvocato dell’imputata - Se avesse accettato di fare la figurante per avere visibilità in televisione, non l’avrebbe fatto accettando un nome che non è il suo». Secondo la difesa dell’altro giovane, invece, «la sua liberatoria è stata firmata con il nome vero perchè lui, già attore in altri programmi Mediaset, ha accettato convinto di fare il figurante come aveva già fatto altre volte».