Emergenza Coronavirus: più liquidità alle Pmi, primo step per ripartire

L’esperto di econometria: l’Europa ha avuto maggiore tempo per arginare il virus, l’ha perso. Dobbiamo far capire i vantaggi di un piano comune

Piazza Duomo deserta

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Milano, 2 aprile 2020 - Andrea Monticini è professore di Econometria finanziaria all’Università Cattolica del Sacro Cuore. All’inizio dell’emergenza coronavirus aveva ipotizzato due scenari: perdite immediate per il turismo e un’industria con anticorpi per reggere fino a due mesi di rallentamento. Cosa è cambiato? "Molto: l’epidemia era ancora un problema cinese e poi italiano. Gli altri Paesi europei avevano tempo e modo per mettere in campo anticorpi per predisporre politiche di contenimento di questo virus. Tempo che in parte è stato perso".

Le perdite saranno quindi maggiori? "Già a fine febbraio avevo previsto che hotel, ristoranti e tutti i principali servizi che ruotano attorno al turismo avrebbero avuto perdite non recuperabili. Lo confermo, ma temo che dobbiale. Se davo mo correggere l’arco temporaper scontato i mancati introiti dei weekend del periodo primaverile e del periodo di Pasqua, ora temo che il turismo avrà un saldo negativo anche per quanto riguarda le vacanze estive. Il mondo della sanità ci sta dicendo che con la fine dell’epidemia non ci sarà un immediato ritorno alla vita di prima. E questo getta ombre significative sulle prenotazioni".

Cosa dobbiamo aspettarci invece per l’industria alla luce delle ulteriori proroghe di chiusura delle attività produttive non fondamentali e degli esercizi commerciali? "Le industrie a quanto stanno andando? Al 20% del potenziale? Mettiamo anche al 30%. A questa velocità, anche con l’ipotesi di una riapertura scaglionata da metà aprile a metà maggio dobbiamo tenere in considerazione diverse variabili. Una, ad esempio, riguarda la riapertura delle scuole: ci sarà? Se sì quando? È una decisione che ha un effetto importante in un tessuto economico come quello italiano e in particolare lombardo fatto di tante Pmi, piccole e medie imprese gestite da famiglie. Se i figli non andassero a scuola, anche una ripresa sulla carta diventerebbe di difficile operatività per i genitori-lavoratori. A questo si aggiunge un’altra considerazione, che riguarda più direttamente i mercati: il coronavirus è diventato una questione europea se non mondiale, visto che coinvolge gli Stati Uniti".

Questo allargamento quali conseguenze comporta per il sistema economico lombardo e dell’intero Paese? "Mi aspetto che l’export, che finora aveva dato ossigeno alla nostra produzione, rallenti. Le merci avranno difficoltà a trovare mercati di sbocco perché anche i partner commerciali stranieri di riferimento saranno alle prese con i problemi da coronavirus che noi, ci auguriamo, ci saremo lasciati alle spalle. Dobbiamo aspettarci una recessione da parte di tutte le principali economie mondiali".

Come dopo la crisi del 2008, dobbiamo aspettarci una ripresa più lenta per le Pmi rispetto ai grandi gruppi industriali? Quali aiuti sono necessari per sostenere la piccola e media impresa in particolare? "Occorrono un piano per rimettere in moto l’industria. E una strategia di politica economica che preveda risorse immediate per sostenere la liquidità delle imprese e i consumi, un’azione che in parte è stata compiuta seppur con i limiti dettati dallo stato di salute delle nostre finanze pubbliche. E successivamente investimenti, denaro pubblico che riaccenda la fiducia dei privati a pianificare nuovi investimenti, creando così un circuito virtuoso. Le Pmi, più dei grandi gruppi, necessitano di liquidità per pagare gli stipendi visto che l’attività è ferma e non ci sono incassi".

Un mese fa disse che era prematuro dare dei numeri sulle perdite del prodotto interno lordo. Oggi possiamo avere un’idea più precisa? "Un calo del 5-6% del Pil a fine anno rispetto all’anno precedente è ragionevole nell’ipotesi che l’epidemia rallenti, che i divieti diventino meno stringenti e che il motore del sistema produttivo italiano possa riaccendersi".

Invocò un piano di solidarietà europea, oggi si dibatte di Eurobond e non tutti i Paesi sono favorevoli: per l’Europa rischia di essere un’occasione persa? "Sì, se non ci sarà un fronte comune. Ma dobbiamo essere bravi a far capire che gli Eurobond possono essere un vantaggio per tutti. Se, come sta succedendo, invece, andiamo al tavolo tedesco a chiedere una garanzia comune per farci fare tutto il debito pubblico che vogliamo, non dobbiamo sorprenderci che ci dicano di no. Occorre far capire i benefici di una politica coordinata di emissione di debito pubblico in termini di maggior fiducia rispetto a singole emissioni a lungo termine".