Il ministro Bianchi apre un'inchiesta sul caso di Cloe, la prof trans suicida nel camper

La docente, 58 anni, viveva nel mezzo in cui si è data fuoco dopo essere stata allontanata dall'insegnamento perché discriminata in base al suo orientamento sessuale

Belluno - “Da subito il ministero ha aperto un’inchiesta profonda su questo tema e lo abbiamo fatto come atto di giustizia”. Lo ha detto il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, parlando del caso della morte dell’insegnante di Belluno, Cloe Bianco, 58 anni, di Maracon (Venezia) che sabato 11 giugno è stata trovata carbonizzata nel suo camper in mezzo a un bosco tra Auronzo e Misurina. “E’ importante la narrazione dell’ultimo momento, ma anche ricostruire tutto il percorso e sul percorso si rivela quella che io ho sempre detto: è l’idea di una scuola aperta, inclusiva e affettuosa per tutti”, ha continuato facendo riferimento a un caso a Ivrea “parallelo, risolto in maniera totalmente diversa”. 

Il ministero dell’Istruzione ha avviato dunque un approfondimento per tentare di ricostruire tutti i contorni della vicenda dell’insegnante di fisica, descritta dagli alunni come preparata e disponibile, ma avversata da molti genitori e anche da alcuni esponenti politici locali, dopo il suo outing. Un giorno infatti, sette anni fa, Cloe si presentò in classe in abiti femminili. Agli alunni chiese di essere chiamata Cloe e spiegò il motivo della sua scelta. Il padre di un alunno scrisse una lettera ad Elena Donazzan che all’epoca era assessore regionale all’Istruzione. 

Il preside della scuola in cui insegnava, secondo quanto raccontano alcuni testimoni dell’epoca, si schierò al fianco della docente ma le polemiche furono talmente forti che alla fine fu decisa una sospensione per tre giorni dall’insegnamento e successivamente venne spostata a ruoli di segreteria prima nell’istituto Mattei di San Donà di Piave (Venezia), e poi in diverse scuole del Veneto. Fece ricorso ma perse la battaglia davanti ad un giudice del lavoro. 

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Anche il ministro del Lavoro Andrea Orlando, è tornato sulla morte della docente con un lungo post. «È inaccettabile che in Italia una lavoratrice o un lavoratore subisca discriminazioni sul luogo di lavoro per la propria identità di genere, così come per qualsiasi altro elemento della propria identità sessuale o per tutto ciò che non ha a che fare con la prestazione lavorativa», ha scritto il ministro, aggiungendo: «A qualsiasi insegnante, a qualsiasi lavoratore o lavoratrice che ha rivelato o ha paura di rivelare una parte così importante di sé, voglio ribadire con fermezza: il ministero del Lavoro è dalla vostra parte». 

E ancora, il camper «in cui Cloe viveva e dentro il quale ha deciso di porre fine alla sua vita, è anche il perimetro dei nostri pregiudizi, della nostra superficialità, della scommessa che si perde quando scegliamo il disprezzo per compiacere l’ignoranza. Ignoranza verso chi è giudicato diverso, verso chi, invece, vuole soltanto vivere ed essere accolto e rispettato come persona. Questo chiedeva Cloe». 

Per il segretario generale della Uil Scuola, Pino Turi anche «il ministero dell’Istruzione è colpevole in quanto è stato complice di quanto accaduto: ha sospeso Cloe Bianco dall’insegnamento, mettendola a lavorare nelle segreterie, non ritenendola più in grado di insegnare e colpendola come fosse una malata sociale. Ma la scuola deve garantire libertà, deve aprire le menti, deve essere immune dai condizionamenti, altrimenti ha fallito la propria missione». 

Un’autocritica arriva anche dal mondo della magistratura. «Un documento sacrosanto, che riporta le regole del diritto e il sistema valoriale che le sostiene, nella giusta dimensione della tutela dei diritti»: lo ha detto il giudice Gaetano Campo - presidente della Sezione Lavoro del Tribunale di Vicenza - presente ai lavori del parlamentino di Magistratura Democraica (Md), commentando il documento riguardante la vicenda.

 “Non ci lascia indifferenti non solo come cittadini e cittadine, ma prima come magistrati di questa Repubblica cui spetta di rimuovere di fatto gli ostacoli che impediscono una vera uguaglianza. Perché la professoressa Bianco - si legge nel testo - aveva chiesto nel processo che fosse riconosciuto il suo diritto a essere quella che sentiva di essere, aveva chiesto di dichiarare che quello che lei era (una donna, non un uomo vestito da donna) non rappresentava alcuna violazione degli obblighi del suo lavoro di insegnante“. 

“Nel processo ha avuto torto. È stata una decisione sbagliata, non moralmente o eticamente non condivisibile, ma giuridicamente sbagliata. Perché i divieti di discriminazione proteggevano la diversità della professoressa Bianco e quindi impedivano che quella diversità potesse essere qualificata inadempimento disciplinarmente sanzionabile».