Chi sono i latitanti più pericolosi d'Italia

Dopo l'arresto di Matteo Messina Denaro sono ancora 4 i super boss ricercati dal "Programma speciale di ricerca" del Gruppo integrato interforze

Con la cattura del boss  Matteo Messina Denaro, erede di Totò Riina e Bernardo Provenzano, rimangono quattro i super latitanti considerati dal Ministero dell'Interno e inseriti nel "Programma speciale di ricerca" del Gruppo integrato interforze. Ecco chi sono:  

I cinque latitanti più pericolosi d'Italia
I cinque latitanti più pericolosi d'Italia

Attilio Cubeddu, il carceriere senza pietà

Attilio Cubeddu, nome storico dell'Anonima sequestri sarda, nasce ad Arzana, in provincia di Nuoro, nel 1947 e dopo diversi reati commessi da giovanissimo si scopre una vocazione per i rapimenti: partecipa tra gli altri a quelli Rangoni Machiavelli, Bauer e Peruzzi, fino all'arresto del 1984 a Riccione. La condanna a 30 anni sembra l'inizio della fine, ma lui che è furbo e determinato si comporta da detenuto modello e riesce ad ottenere diversi permessi premio: da uno di questi, concessogli nel gennaio del 1997 a Badu 'e Carros per vedere moglie e figlie, "dimentica" di rientrare. E' da quei giorni che diventa praticamente un fantasma. Un fantasma che si materializza solo nei giorni del sequestro Soffiantini, di cui è implacabile carceriere ("il più cattivo di tutti", secondo l'imprenditore bresciano) e che polizia e carabinieri cercano inutilmente ovunque: in Corsica, in Spagna, in Germania, in Sud America e, naturalmente, in Sardegna, dove secondo alcuni avrebbe trascorso gran parte della sua latitanza, protetto da un network di fiancheggiatori. Negli anni si è fatta strada l'ipotesi che in realtà sia morto, ucciso da un complice per una storia di soldi: ma nel dubbio, anche per lui la caccia resta aperta.

Giovanni Motisi, il killer di fiducia di Riina

A lui come a Giovanni Motisi, "u pacchiuni", "il grasso", 59 anni, palermitano doc, secondo nelle gerarchie solo a Messina Denaro, ricercato dal '98 per omicidio, dal 2001 per associazione di tipo mafioso e dal 2002 per strage. Ha l'ergastolo da scontare, il killer di fiducia di Totò Riina, secondo un collaboratore di giustizia presente anche quando si parlò per la prima volta di ammazzare il generale Dalla Chiesa. Nel '99, durante la perquisizione della sua villa di Palermo, spunta una fitta corrispondenza tra lui e la moglie Caterina, bigliettini recapitati da 'postini' fidati assieme a vestiti e regali. Ed è dello stesso anno l'ultima "apparizione" certa in Sicilia di "u pacchiuni", alla festa di compleanno della figlia: nelle foto ritrovate diversi anni dopo risaltano le pareti coperte con lenzuola bianche per non far riconoscere il posto. Da allora, più niente o quasi tanto da alimentare il sospetto - ricorrente nelle grandi latitanze - che Motisi possa essere morto. Un'altra ipotesi è che abbia cercato, e trovato, riparo in Francia: l'esattore del racket Angelo Casano ha raccontato che nel 2002 Motisi 'perse' la reggenza di Pagliarelli a vantaggio di Nino Rotolo e che per un paio d'anni si nascose nell'Agrigentino, 'terra' di Giuseppe Falsone. Boss arrestato nel 2010 dalla Gendarmeria francese a Marsiglia. 

Renato Cinquegranella dietro i delitti che hanno scosso Napoli

Dalla mafia alla camorra. Del boss Renato Cinquegranella, classe 1949, si sono praticamente perse le tracce dal 2002. Ricercato per associazione a delinquere di tipo mafioso, concorso in omicidio, detenzione e porto illegale di armi, estorsione ed altro, originariamente legato alla "Nuova Famiglia", storici rivali della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, di lui resta negli archivi una vecchia foto sgranata in bianco e nero, calvizie incipiente, occhiali, baffi neri e sguardo fisso nell'obiettivo. Un volto come tanti, eppure il suo nome compare nelle cronache giudiziarie di due dei delitti che più hanno scosso Napoli: l'omicidio di Giacomo Frattini, alias "Bambulella", soldato della Nco, torturato, ucciso e fatto a pezzi nel gennaio dell'82, e il massacro del capo della Mobile Antonio Ammaturo e del suo autista, Pasquale Paola, "firmato" nel luglio dello stesso anno dalle Brigate Rosse. L'episodio confermò l'esistenza di un 'patto scellerato' tra le Br e i capi-zona della camorra del centro di Napoli. Dal dicembre 2018 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, finora senza esito. 

Pasquale Bonavota e la 'ndrangheta calabrese 

Pasquale Bonavota, è il boss di Sant’Onofrio, che in provincia di Vibo Valentia è secondo solo al clan di 'ndrangheta dei Mancuso per forza e prestigio criminale. Risulta latitante dal 2018 ed è accusato di associazione mafiosa e omicidio aggravato. Pasquale non è l’unico della famiglia ad essersi reso latitante nel corso del tempo. Anche il fratello Domenico (pure lui condannato all'ergastolo) per due volte è stato individuato  e arrestato. La prima volta, nel 2008, a Genova e la seconda – nel suo paese natale, la sera del 5 agosto del 2020.