Partite truccate, mai chiusa la "lavanderia" del calcioscommesse

Daniela Giuffrè, vicequestore della Polizia, ha sviluppato l’Integrity sport di Interpol a Lione contro le inursioni della malavita

Daniela Giuffrè, vicequestore, è esperta di match fixing

Daniela Giuffrè, vicequestore, è esperta di match fixing

Milano, 24 marzo 2021 - «Non mi sorprende che in Italia si torni a parlare, in questo momento storico, di calcioscommesse. Vero, le sale sono chiuse, ma c’è un fortissimo e pericoloso aumento delle giocate online, su canali più difficili da monitorare. È lì che si nascondono situazioni poco limpide...". A parlare è Daniela Giuffrè, vice Questore della Polizia ed esperta di “match fixing“. Delle scommesse sportive contagiate dal virus della combine sa tutto, visto che dal 2012 al 2017 ha ricoperto l’incarico di Project manager dell’Integrity sport di Interpol a Lione per combattere la malavita organizzata nel calcio, quella che riesce a corrompere con facilità calciatori, allenatori, dirigenti, arbitri e in alcuni casi membri delle Federazioni. Ha seguito pure l’inchiesta di Cremona e sul tema ha pubblicato “Game over“ e “Calcio Truccato. Il grande business della mafia“. Dottoressa Giuffrè, ci risiamo... "Credo che il fenomeno non sia mai scomparso. Ci sono di mezzo organizzazioni criminali importanti, perché la manipolazione delle partite di calcio e le scommesse si sono rivelate un nuovo business per le mafie, italiane, dell’Est Europa e orientali. Semmai è cambiato il modo di organizzare la truffa..." In Italia le norme sono rigide... "Ci sono controlli e le partite vengono monitorate. Ma è comunque facile aggirare l’ostacolo, perché esistono tantissimi siti asiatici dove è complicato risalire a chi scommette. E poi i criminali hanno capito che non è sufficiente assicurarsi che una certa squadra vinca o perda un match. Oggi, per facilitare i guadagni, è importante sapere chi ha segnato, a che minuto, le reti complessive, le ammonizioni e persino chi batterà il calcio d’inizio. Sa che ci sono fino a 110 opzioni su cui puntare? E dove non arriva la malavita, ecco il faccendiere che corrompe pochi giocatori e mette 20.000 euro. Tanti presidenti sanno tutto, tollerano e scommettono" Anche da noi? "Certo, perché la pandemia ha influito su certi comportamenti. Ci sono tanti club che si sono impoveriti, dalla serie A ai Dilettanti, i calciatori sono sempre più vulnerabili perché alcuni non prendono lo stipendio da mesi. E così per poter essere sicuri di poter gestire i vari eventi su cui scommettere, la malavita avvicina e corrompe i giocatori più “fragili“, economicamente e psicologicamente. In campo nessuno si accorge di nulla, perché con gli stadi e i palazzetti vuoti è sparito il “controllo“ dello spettatore, nessuno ti fischia se sbagli goffamente" Chi sono gli sportivi a rischio? "I calciatori, i cestisti e i tennisti. Più facile tentare i giovani: vengono spiati e contattati sui social: “Sei bravo e ti danno poco... ti faccio guadagnare“. I messaggi arrivano chiari e diretti e nei momenti difficili, magari quei ragazzi hanno pure le famiglie in difficoltà economiche... Nella pallacanestro e nei tornei di basket avviene spesso" E le altre “vittime“? "Quei giocatori che sono a fine carriera. Corteggiati gentilmente: “Dai, approfittane e fai un po’ di soldi con le scommesse, che ti cambia?“, è la frase più ricorrente. Il calciatore scommette e se non vince finisce per indebitarsi con gente sbagliata". Perché la Lombardia è sempre stata il punto di riferimento delle attività criminali? "L’inchiesta di Cremona ci ha insegnato molto. Una cosa su tutte: tutti i campionati erano coinvolti, altrimenti non si spiegherebbe perché alla Malpensa arrivavano personaggi dall’Ungheria o da Singapore con una valigia che pesava 30-40 chili e dopo due ore ripartivano con la stessa valigia... vuota. La verità è che il calcioscommesse serviva ad altro per le mafie..." Non solo vincere, dunque... "Il loro problema non era fare soldi, ma doverli ripulire: e il calcioscommesse per la criminalità è diventata una grande lavanderia. Perciò serviva un mercato legale, non quello in nero. Anche se di legale c’è poco...".