Il fratello del bimbo sciolto nell'acido: "Come potete chiedermi di perdonare Brusca?"

Parla per la prima volta Nicola Di Matteo: "Uccidere un bambino innocente a quell’eta’, che non si poteva difendere, e’ un crimine orrendo"

Al processo sulla strage di Capaci bis depose il pentito Giovanni Brusca

Al processo sulla strage di Capaci bis depose il pentito Giovanni Brusca

Palermo - “Non possiamo perdonare Brusca, a noi non ha mai chiesto scusa, ma se anche lo facesse non lo scuseremmo comunque. Uccidere un bambino innocente a quell’eta’, che nemmeno si poteva difendere, e’ un crimine orrendo”. Cosi’ all’Agi Nicola Di Matteo, fratello di Giuseppe, fatto strangolare da Giovanni Brusca il 12 gennaio 1996 in contrada Giambascio, a San Giuseppe Jato (Palermo), e poi sciolto nell’acido, commenta la notizia della scarcerazione del boss autore di 150 tra omicidi e stragi.

 Fra tutti i suoi delitti maggiore scalpore hanno sempre suscitato la strage di Capaci, in cui Giovanni Brusca schiaccio’ il telecomando che fece saltare l’autostrada, e appunto il delitto che vide come vittima, dopo oltre due anni di prigionia, Giuseppe Di Matteo, fatto rapire e poi uccidere da Brusca perché figlio del pentito Santino Di Matteo. “Non ci aspettavamo che facessero del male a un bambino - prosegue il quarantenne Nicola Di Matteo - non potevamo pensarlo. Giovanni Brusca ha mangiato a casa nostra, io e mio fratello eravamo piccolini e lo vedevamo con nostro padre. Come abbia potuto fare quello che ha fatto a Giuseppe io veramente non lo so. Quindi nessuno mi chieda di perdonarlo”.

 Il giorno in cui fu rapito, il 23 novembre 1993, ricorda, “ero a casa con mio fratello, abbiamo pranzato insieme, poi lui è uscito e non si è ritirato piu’”. Il rapporto col genitore pentito è buono, pero’ “con mio padre non parlo mai di questa storia, ho avuto un po’ di rabbia verso di lui perche’ frequentava e aveva rapporti con queste persone e grazie a lui si e’ verificata questa situazione. Non posso perdonare sia da una parte che dall’altra anche se mio padre ha aiutato lo Stato e lo Stato ha fatto questo regalo a Brusca”. 

Sulla questione interviene anche  l’arcivescovo di Monreale, Michele Pennisi. “Conosco la scia di sangue e dolore che Brusca ha lasciato dietro di se’. Molti dei suoi delitti sono stati commessi nel territorio della mia diocesi. Una cosa e’ la conversione cristiana, un’altra la collaborazione con la giustizia. Non bisogna fare confusione tra pentito e convertito”, dice  il prelato al lavoro nella commissione creata da Papa Francesco in Vaticano per la scomunica delle mafie. “Non si conoscono i sentimenti di Brusca”, prosegue Pennisi, che afferma di porsi “emotivamente dalla parte delle vittime che hanno bisogno di verita’ di giustizia”..