Bitcoin, perché inquinano e perché Elon Musk non li vuole

Come viene estratta questa criptovaluta e perché il miliardario ha scelto di bocciarla

Elon Musk e i bitcoin

Elon Musk e i bitcoin

Bitcoin o non bitcoin? Cosa sono i bitcoin? Vale la pena investire? Questo è il grande dilemma degli ultimi giorni. La criptovaluta sta facendo venire il mal di testa a più di qualche investitore ultimamente. La causa è da ricercare soprattutto in un nome e un cognome: Elon Musk. Il miliardario, inevitabilmente, con le proprie affermazioni condiziona l'andamento del mercato di questa moneta virtuale e al contempo ne evidenzia la volubilità e le fluttuazioni che la rendono così instabile.

La scelta di Elon Musk

Perché i bitcoin inquinano?

Il dark web

La scelta di Elon Musk

"Tesla si potrà acquistare pagando in bitcoin", "Non accettiamo bitcoin per i pagamenti Tesla". Il golden boy della tecnologia mondiale inevitabilmente condiziona i mercati. Ma perché ha cambiato rotta in maniera così repentina? Nel giro di qualche mese Musk ha prima dato il via libera al pagamento in bitcoin e poi ha pronunciato un fermo stop. I motivi sono essenzialmente due: l'accordo per la missione spaziale che nel 2022 porterà nell'orbita lunare un satellite con il razzo Falcon 9 per conto di Geometric Energy Corporation, società canadese che pagherà l'intera missione in dogecoin. Questo significa che Elon Musk e chi lavora con lui, dettaglio non trascurabile, hanno scelto sì di puntare su una criptovaluta ma non certo sul bitcoin. Sembra inoltre che un account anonimo, come è solito succedere nel mondo del deep e dark web, abbia investito una cifra considerevole proprio nell'acquisto di dogecoin. Il sospetto è che possa essere proprio Elon Musk ad aver impegnato del capitale in questa moneta virtuale. 

Perché i bitcoin inquinano?

La motivazione ufficiale per la quale l'imprenditore ha scelto di non accettare più i bitcoin per Tesla è l'inquinamento. Già, anche Elon Musk si è accorto che estrarre i bitcoin inquina. Ma cosa significa che una moneta virtuale inquina? Come è possibile? Per capirlo è necessario cambiare prospettiva: non sono i bitcoin a inquinare, ma è la loro modalità di estrazione. Di "sminamento", per dirlo prendendo spunto dall'inglese. L'attività di estrazione in inglese si chiama infatti "mining". Perché, a differenza delle altre monete virtuali, il bitcoin esiste in quantità limitata e quindi va "stanato". Per estrarre ogni singolo bitcoin è necessario che una rete di computer risolva tutta una serie di complessi calcoli, così come per realizzare ogni singola transazione serve che attraverso dei nodi venga modificata la crittografia di ogni bitcoin. Tutte queste operazioni sono realizzabili soltanto attraverso l'utilizzo di computer molto potenti. Che richiedono non solo strumentazioni all'avanguardia - da qui la crisi dei microchip e delle schede grafiche in tutto il mondo -, ma anche e soprattutto tanta corrente elettrica. Quanta ne utilizza ogni anno uno Stato come l'Olanda, per intenderci. Ne deriva quindi che serve una quantità maggiore di energia. Producendo inquinamento.  Ad accorgersene, stranamente in ritardo, è stato anche Elon Musk che su Twitter ha spiegato che se si continuasse a puntare sui bitcoin in maniera così forte il rischio potrebbe essere quello di dover utilizzare fonti di energia non pulita e quindi si potrebbe produrre un maggiore inquinamento.

Il dark web

Utilizzare energia costa. Parecchio, se si utilizza molta corrente elettrica. E se per estrarre qualche bitcoin si finisse per spendere qualche migliaio di euro a chi converrebbe? Ecco allora che nel dark web, la parte più oscura e spesso anche illegale di internet, si può trovare un modo illegale e del tutto punibile dalla legge per aggirare l'ostacolo. Esistono infatti dei siti che promettono di fornire servizi di "mining", ovvero estrazione, di bitcoin utilizzando energia elettrica rubata. In pratica a un costo fisso non esorbitante si acquista il lavoro dei computer che lavorano giorno e notte per estrarre i bitcoin disseminati nel web dagli hacker che hanno creato questa criptovaluta. "Vengono installati dei container nel deserto - spiega l'ethical hacker Alessandro Vannini -, che sono peraltro ben sorvegliati. In questi container, lontani da occhi indiscreti, ci sono computer che lavorano proprio per l'estrazione di bitcoin. Il clima notturno del deserto viene sfruttato per far raffreddare in maniera naturale i dispositivi, che altrimenti rischierebbero di avere problemi".