Calcio malato: papà ultras, i bambini disertano

Le pressioni delle famiglie tifose: dopo i dodici anni crolla in Lombardia la frequenza delle scuole di pallone. Quasi dimezzato il numero di tesserati

Baby calciatori  sul campo  (foto Germogli)

Baby calciatori sul campo (foto Germogli)

Milano, 11 aprile 2018 - Torniamo a parlare di “calcio malato”. Nostro malgrado. Perché dopo esserci occupati di falsi provini e loschi personaggi che si spacciano per procuratori, di dirigenti senza scrupoli e allenatori che subiscono pressioni, e soprattutto sponsor necessari per far giocare i bambini (perché purtroppo esistono anche le “mazzette del pallone”), passiamo alla categoria peggiore: quella dei genitori-ultras, di quei papà e di quelle mamme convinti che il proprio figlio sia sempre e comunque il più bravo di tutti. Fin qui magari ci può stare, a patto che l’illusione di avere Messi in casa non degeneri come invece accade da anni su tutti i campi. Visto che le tribune dei campionati dei bambini si trasformano in ring, con scene da “far west”. Perché quando manca il rispetto (verso l’arbitro se c’è, verso i dirigenti o genitori avversari o addirittura verso i bimbi dell’altra squadra) allora il tutto sprofonda nell’inciviltà. E nella vergogna. E la colpa non è dei piccoli che sono in campo e che magari si credono pure bravi. No, a quell’età un bambino non critica un avversario, non giudica le sue qualità, ma pensa solo a giocare. E a divertirsi. A “pomparli” fino all’esasperazione sono proprio quei genitori da curva, col volto paonazzo come il più becero degli ultras. Genitori che in tribuna urlano, insultano l’arbitro, imprecano contro gli avversari arrivando persino a picchiarsi. Una partita nella partita. È nei confronti di questi personaggi che serve tolleranza zero. Fuori tutti, prima che sia troppo tardi. Prima che un figlio scoppi in lacrime... 

Siamo tutti preoccupati e non riusciamo davvero a capire. Un genitore che dalla tribuna incita alla violenza il figlio e arriva ad urlare di “spezzare le gambe” all’avversario è un brutto segnale, e ciò mi fa rabbrividire». Giuseppe Terraneo, coordinatore per la Regione Lombardia del Settore Giovanile e Scolastico della Figc, da anni cerca di combattere il fenomeno della violenza nei campionati minori, un impegno vanificato dall’inciviltà degli adulti. «Ho sempre auspicato il rispetto delle regole, del divertimento e del fair play, invitando gli istruttori ad essere dei veri educatori e i genitori a fare i genitori, non i tifosi facinorosi, per non rovinare il giocattolo», spiega. 

Quanto accaduto lo scorso week-end in Piemonte (rissa in tribuna, partita sospesa, bambini in lacrime) ha lasciato il segno. Ma è solo la punta di un maledetto iceberg. Vero. I genitori più accesi potrebbero essere “raffreddati” da un sano Daspo, ma il problema era e resta d’attualità, in tutta Italia e in particolare in Lombardia. Nei campionati riservati ai piccoli dai 6 ai 12 anni i genitori in tribuna (non tutti, per fortuna) non sono lì solo per tifare, incitare e applaudire. Lealtà, rispetto e disciplina, prime regole imposte ai piccoli dagli allenatori-educatori, non vengono invece osservate sugli spalti da papà, mamme e persino nonni. «Assisto a episodi pazzeschi, o me li raccontano: papà e mamme in tribuna pieni di livore che commentano di tutto e tifano contro. Mi creda, anche in passato sono intervenuto pesantemente coinvolgendo gli istruttori. Poi ho introdotto la figura dello psicologo, per non danneggiare i bambini. Gli incontri dei genitori con la psicologa Sara Landi sono andati bene, e quando possiamo interveniamo. Mi rendo conto però che è impossibile controllare tutto, le squadre con bambini dai 6 ai 12 anni sono tante. Ogni week-end mi arrivano segnali sconfortanti da tutte le province lombarde». E ancora: «Ecco perché ho coniato un mio slogan: “Cari genitori, nel week end sono aperti i centri commerciali. Lasciate i vostri figli al campo e andate a fare un giro”». Più o meno l’idea del professor Raffaele Morelli, psicologo e psicoterapeuta: «I genitori dovrebbero andarsene, non assistere alle partite, anche perché i bambini giocano ugualmente e si divertono, sono più evoluti nel cervello. Quando c’è un papà in tribuna il piccolo capisce che deve dimostrargli di essere forte e rischia anche di diventare più ansioso». 

La Federazione non resta a guardare. Il 19 aprile in Valtellina sono invitate tutte le componenti (dai genitori ai dirigenti, dai mister alle istituzioni) per discutere del problema: «Ai papà e alle mamme continuiamo a lanciare messaggi – prosegue Terraneo –. Ma è difficile far capire alla gente che si tratta solo di un gioco, perciò ogni partita è a rischio fin quando gli adulti continueranno a crearci problemi». Non solo. Le conseguenze possono essere devastanti per i bambini: «Dopo i 12 anni, quando si chiude il ciclo delle scuole calcio, la percentuale di abbandono è del 40%. I bambini sono esasperati da ciò cui assistono e vogliono smettere». Sì, avete capito bene. Il 40% dei bambini a 12 anni appende le scarpe al chiodo. Almeno questo importerà ai genitori ultras?

(1 - Continua)