Attentato al Papa. Quaranta anni fa Alì Agca sparava a Wojtyla in piazza San Pietro

Il 13 maggio 1981 papa Giovanni Paolo II veniva ferito gravemente. Indagini, misteri e intrighi internazionali non ancora chiariti a tanti anni di distanza

L'attentato a Papa Wojtyla

L'attentato a Papa Wojtyla

Erano le 17.17 del 13 gennaio del 1981. Esattamente 40 anni fa. Un attentatore, Ali Agca, spara a Papa Giovanni Paolo II in piazza San Pietro. Un evento che ha fatto la storia e che non è mai stato perfettamente chiarito. Motivi e mandanti dell'attentato sono stati cercati nel corso di questi 40 anni, scontrandosi spesso con la controversa figura dell'attentatore turco oggi 63enne.

Gli spari e la Madonna di Fatima

La Madonna Pellegrina di Fatima

Immagini, quelle del papa accasciato dopo i colpi di pistola esplosi da Agca, che rimarranno nella storia e che si intrecciano con molte questioni politico-religiose a partire dai segreti di Fatima e dal fatto che proprio a "un intervento diretto della madonna che con la sua mano ha deviato il proiettile", lo stesso Papa Wojtyla ha poi attribuito la sua salvezza. Una "coincidenza" che ha proprio voluto che l'attentato avvenisse nella giornata in cui la Chiesa cattolica celebra come "Santo del giorno del 13 maggio" proprio la Beata Vergine Maria di Fatima.

Il perdono del Papa

Immagini storiche come quelle dell'"incontro del perdono" dello stesso papa con il suo attentatore nelle carceri di Rebibbia il 17 dicembre del 1983.

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I testimoni

''In ambulanza il Papa si mise a pregare la Madonna. Si sentivano poche parole ma lui ripeteva il nome di Maria. E proprio in ambulanza a pochi minuti dall'attentato il Papa aveva già perdonato chi gli aveva sparato, non sapendo chi fosse quella persona''. Così il cardinale Stanislao Dziwisz, arcivescovo emerito di Cracovia e già segretario personale di Giovanni Paolo II racconta nello speciale di Tv2000 '13 maggio 1981 - Il proiettile deviato', condotto da Paola Saluzzi.  Il card. Dziwisz, nell'anticipazione di Tv2000, ripercorre gli istanti successivi all'attentato subìto da Papa Wojtyla: ''Si sentiva il rumore della piazza e il pianto. La gente non sapeva cosa fosse accaduto. E anche io nei primi istanti non ho capito perché ero dietro il Papa. E subito gli ho domandato: 'Cosa è successo?' e lui mi rispose di essere stato colpito. Gli chiesi allora: Santo Padre soffre?' E lui: 'Sì, tanto'''. 

La maglia insanguinata di Wojtyla

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La maglietta di Wojtyla per tanti anni venne conservata da una infermiera del Gemelli, Anna Stanghellini, che la raccolse nel cestino dell'ospedale al termine dell'operazione a Wojtyla dopo l'attentato. L'infermiera per anni la custodì gelosamente a casa sua poi, in vecchiaia, chiese ospitalità alle Figlie della carità della Casa Regina Mundi e, in segno di gratitudine, lasciò loro la maglietta insanguinata. La superiora della Casa, suor Beatrice, la fece poi sigillare in un quadro per evitarne il deterioramento. "E alla morte di Wojtyla - racconta suor Maria Rosaria - pensò di portarla in Vaticano per l'autenticazione. Quindi venne sistemata nella nostra chiesa". Da allora è diventata meta di pellegrinaggio e di preghiere per tante persone in difficoltà. Oggi suor Matranga e le consorelle Figlie della Carità, per ricordare i quaranta anni dall'atte di Mehmet Ali' Agca al Papa, celebreranno una messa con il cardinale Angelo Comastri alle 16.30: "Chiederemo a San Giovanni Paolo II che ci aiuti a non avere paura, mai".

Intrighi e misteri

Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori (Ansa)

L'attentato a Wojtyla e la scomparsa di Emanuela Orlandi (22 giugno 1983), figlia di un commesso vaticano. Due fatti, due date che per tanti anni sono state legate. ''Gli inquirenti - ricorda all'Adnkronos Pietro Orlandi, fratello di Emanuela - nei primi anni erano convinti che vi fosse un legame stretto tra i due fatti''. Lo stesso Agca, nelle oltre cinquanta versioni dei fatti date, puntò il dito contro la Cia dicendo che saprebbe molte cose sui due fatti e che sarebbero custodite negli archivi. ''La cosa assurda - osserva il fratello di Emanuela - è che ogni pista aveva elementi di verità ma poi sono state accantonate. E' passato un tempo infinito, è venuto il momento che il Vaticano prenda una posizione seria su questo argomento, non possono continuare a mantenere questo silenzio''.  Pietro Orlandi ripercorre i passi fatti privatamente in 38 anni: ''Istanze, richieste, piste, ma zero risposte. Con l'ultima pista che abbiamo segnalato, lo scambio di whatsapp tra due persone vicine al  Papa che parlavano di documenti legati alla scomparsa di Emanuela, ci aspettavamo che dal Vaticano si chiamasse almeno il nostro legale per capire cosa avevamo in mano invece niente, silenzio assoluto. Ripeterò sempre che Emanuela è ancora iscritta all'anagrafe vaticana come cittadina vivente, io non ho mai fatto dichiarazione di morte presunta''.

Le indagini

Sul fronte delle indagini, la pista principale fa risalire l'attentato di Agca ai servizi dell'Europa dell'est, ancora sotto il dominio di Mosca, che vedevano nel Papa venuto da oriente (Wojtyla era Polacco, Paese nel quale per primo i venti di libertà dall'egemonia sovietica e del blocco comunista anche grazie al sindacato di ispirazione cattolicaSolidarność) un pericolo nella battaglia fra i due blocchi, sovietico e occidentale. I documenti fin qui emersi, anche negli archivi degli ex Paesi comunisti, sembrerebbero avvalorare questa ipotesi.  Alcune inchieste giornalistiche hanno ipotizzato un filone islamico nell'attentato al Papa. Tuttavia i Lupi Grigi - il gruppo turco cui apparteneva Agca - all'epoca dei fatti era connotato in senso nazionalista e con una tendenza politica di estrema destra.  Al contrario, il conflitto interreligioso, nei primi anni Ottanta, non compariva ancora nell'agenda politica mondiale ed il terrorismo di matrice religiosa era di là da venire.