Covid: gli anticorpi monoclonali che guarirono Trump saranno utilizzati anche in Italia

I Governo stanzia i fondi. Da Roma al Veneto, dalla Liguria a Milano, pronte già 4mila fiale. Efficaci solo se vengono somministrati nella fase iniziale della malattia

Emergenza Coronavirus

Emergenza Coronavirus

Roma - Arriva  la terapia anti-Covid con gli anticorpi monoclonali, con cui si era curato nei primi giorni il presidente Trump. Si tratta di particolari tipi di anticorpi, prodotti con tecniche di DNA ricombinante, a partire da un unico tipo di cellula immunitaria. Come funzionano? Su un principio base: esercitano un’azione antinfiammatoria perché il loro antigene bersaglio è costituito da sostanze coinvolte nell’infiammazione. Sono spesso usati anche nelle terapie oncologiche, perché alcuni anticorpi monoclonali bloccano la crescita delle cellule tumorali. Nella terapia contro il coronavirus sembrano funzionare molto bene, ma solo se utilizzati nei primissimi giorni del contagio.

L'investimento e i primi test

Anche il Governo ci crede: nella bozza del Dl Sostegni discussa oggi in Consiglio dei ministri sono previsti 2,1 miliardi da destinare all’acquisto di vaccini, mentre i restanti 700 milioni per l’acquisto dei farmaci per la cura dei pazienti con Covid-19, tra cui proprio Remdesivir e anticorpi monoclonali. Negli ospedali della capitale dunque si attende solo il via libera.. “E‘ tutto pronto allo Spallanzani per iniziare la somministrazione degli anticorpi monoclonali anti-Sars-Cov2 secondo il programma del ministero della salute-Aifa-Regione Lazio“,precisa l direzione sanitaria dell‘Istituto. I farmaci saranno somministrati a persone con diagnosi di Covid-19, in fase iniziale di malattia che non necessitano di ricovero in ospedale, ma con particolari condizioni di aumentato rischio di peggioramento clinico. I pazienti verranno individuati dai medici di pronto soccorso o dai medici curanti a domicilio e inviati al centro di somministrazione territorialmente piu‘ vicino. 

Il caso Veneto

Il Veneto è tra le prime regioni destinatarie del test. “Finora abbiamo avuto una prima consegna di farmaci di un solo tipo di monoclonale, quello della Lilly, ma Aifa ci ha confermato che entro fine mese avremo una consegna decisamente più importante, oltre 30mila fiale“, spiega la professoressa Evelina Tacconelli, direttrice di malattie infettive che a Verona sta coordinando l‘attività delle prime somministrazioni di anticorpi monoclonali in Veneto. Al Veneto sono state consegnate poco meno di 250 fiale di monoclonali, su un totale di 4.000 a livello nazionale. Gli anticorpi monoclonali, che vengono somministrati ad alcuni pazienti positivi al Covid anche in Veneto, “sono un’arma che puo’ essere estremamente utile, se riusciamo a somministrarli entro i primi quattro o cinque giorni diamo al soggetto una enorme possibilita’ di non finire in ospedale e questo fa una differenza importante per il soggetto e per il controllo della malattia”.

Primo paziente in Liguria

In liguria si è partiti oggi. All’ospedale San Martino di Genova “abbiamo trattato il primo paziente in Liguria con anticorpi monoclonali. E’ un signore di 71 anni con cardiopatia, intercettato grazie alla collaborazione con i medici di medicina generale nella mattinata. E’ stato ricoverato per circa un’ora ed è tornato a casa”. Lo racconta Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova e componente dell’Unità di crisi Covid-19 della Liguria. “Ora abbiamo un’arma in più per le fasi iniziali dell’infezione. Una bellissima notizia”, commenta. “Il protocollo in Liguria prevede 3 hub dove gli anticorpi monoclonali contro il Covid - spiega - sono stoccati, con la partecipazione di tutti i centri di malattie infettive che hanno il compito di interagire con medici di medicina generale”. I malati candidabili sono pazienti con più di 65 anni o con altre patologie, in cui il Covid può dare complicazioni.

I dubbi dell'infettivologo Galli

Qualche dubbio arriva però da Milano. “L’uso degli anticorpi monoclonali” contro Covid-19 “non è ancora nella pratica clinica corrente. Il punto chiave, ancora da definire con chiarezza, è il ‘dove’ e ‘a chi’, ovvero come identificare i pazienti da trattare”. Lo ha spiegato Massimo Galli, infettivologo dell’ospedale Sacco e dell’università Statale di Milano. “Ho partecipato a una commissione su questi specifici aspetti, ovvero su quali siano i pazienti eleggibili - ha riferito l’esperto - Il punto è che si tratta di persone che non richiedono un’ospedalizzazione, ma una diagnosi precoce in un contesto che è forzatamente esterno all’ospedale. Da ciò deriva la necessità di identificare il luogo fisico, dove somministrare la terapia, oltre che avere nei medici del territorio il primo imput per l’identificare il paziente candidabile”.