Ambasciatore ucciso in Congo: un mese dopo verità ancora lontana

Il caso di Luca Attanasio: l’Onu chiude l’inchiesta, non chiarite le responsabilità. Forse il Ros di nuovo in Africa. Cittadinanza alla vedova

Luca Attanasio durante una delle sue tante attività solidali in Africa

Luca Attanasio durante una delle sue tante attività solidali in Africa

Limbiate (Monza), 21 marzo 2021 -  L’inchiesta dell’Onu è finita. Un dossier (riservato) è stato spedito alle autorità italiane. Domani sarà passato un mese dall’agguato costato la vita al nostro ambasciatore Luca Attanasio, al carabiniere che lo accompagnava, Vittorio Iacovacci, e al loro autista Mustapha Milambo. L’indagine delle Nazioni unite sull’attacco contro il convoglio del World Food Programme nella Repubblica Democratica del Congo però non ha chiarito molto dell’imboscata nella regione turbolenta del Nord Kivu, in cui il diplomatico di 43 anni, di Limbiate, è morto. Da appurare la responsabilità per la mancanza di precauzioni in una missione nella zona instabile del Virunga national Park, dove operano oltre 120 milizie tra cui un gruppo affiliato all’Isis. Oltre all’Onu, al lavoro ci sono anche la magistratura italiana e congolese. Più chiara, invece, la dinamica dei fatti. Nei giorni scorsi è emerso dai testimoni ascoltati sul posto dai carabinieri del Ros su delega del procuratore di Roma Michele Prestipino, che Attanasio e Iacovacci sono stati uccisi nel corso di un intenso conflitto a fuoco dal gruppo che voleva sequestrarli.

Tra le persone ascoltate, durante la missione di cinque giorni, anche Rocco Leone, vice direttore del Wfp in Congo, sopravvissuto all’agguato. Le versioni raccolte escludono un’esecuzione e confermano il tentativo di rapimento. Il carabiniere tentava di portare l’ambasciatore fuori dalla linea di fuoco tra i sequestratori e i ranger, intervenuti immediatamente, e lì sono stati colpiti. Sul gruppo dietro l’attacco in un primo momento è stata privilegiata la pista che porta alle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr-Foca), principale gruppo residuo di ribelli ruandesi di etnia Hutu. Nelle settimane successive, tuttavia, una nota delle forze armate di Kinshasa, citata dai media congolesi, ha attribuito l’attacco a militari ribelli del 3416esimo reggimento. Per fare luce sulla matrice ed i motivi dell’agguato, gli inquirenti italiani stanno valutando di inviare a Goma una terza missione. I pm di Roma, inoltre, hanno inviato una rogatoria in Congo con cui si chiede di trasmettere gli atti delle indagini svolte finora dalle autorità locali.

Pesa, però, il tema delle responsabilità dell’organizzazione della sicurezza di Attanasio. Per la Farnesina ricadeva sul Wfp "che aveva organizzato la missione e che aveva indicato che il percorso ‘era stato autorizzato senza scorta armata’". Il ministero degli Esteri aveva ricordato che "in tutti i contesti esteri dove i nostri dipendenti effettuano missioni organizzate dalle Nazioni Unite o da altre organizzazioni internazionali, la responsabilità in materia di sicurezza è in capo a queste ultime". Il Wfp, intanto, assicura “piena collaborazione” e, in ritardo, ha annunciato la conclusione dell’inchiesta su quello che viene definito "tragico attacco". Le conclusioni ci sono, ma "devono rimanere riservate poiché contengono dati sensibili ed informazioni personali".

L’Italia, dopo la commozione dei funerali nella città d’origine in Brianza, non dimentica Attanasio e la sua famiglia. Il Consiglio dei ministri ha attivato la procedura per dare la cittadinanza italiana per meriti speciali alla vedova Zakia Seddiki, madre di tre figlie, per il suo impegno umanitario.