Frane e clima, le montagne fragili della Lombardia: tutte le zone a rischio

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Il monte Resegone, in provincia di Lecco

Il monte Resegone, in provincia di Lecco

Territori fragili, in cui diventa rischioso vivere, lavorare, progettare un futuro. Lo sono sempre stati, sia per per conformazione naturale che per effetto dell’antropizzazione, ma con i cambiamenti climatici la vulnerabilità è destinata ad aumentare. Lo spiega bene Ispra, nell’ultimo rapporto sul rischio idrogeologico, in cui evidenzia come "i cambiamenti climatici in atto stanno determinando un aumento della frequenza degli eventi pluviometrici intensi e, come conseguenza, un aumento della frequenza delle frane superficiali, delle colate detritiche e delle piene rapide e improvvise (flash floods)".

Gli eventi atmosferici estremi, infatti, si innestano su condizioni di vulnerabilità preesistenti, aumentando la probabilità che si verifichino delle frane, ovvero movimenti di masse di rocce, terre o detriti, lungo i versanti. Secondo Ispra alla base c’è una naturale propensione del territorio al dissesto, legata alle sue caratteristiche meteo-climatiche, topografiche, morfologiche e geologiche. L’incremento delle aree urbanizzate, verificatosi a partire dal secondo dopoguerra, spesso in assenza di una corretta pianificazione territoriale (solo dal 2005, con la legge regionale, la vulnerabilità del territorio in cui si costruisce è “attenzionata“), ha portato a un considerevole aumento degli elementi esposti a rischio, ovvero di beni e persone presenti in aree soggette a pericolosità per frane e alluvioni.

L’abbandono delle aree rurali montane e collinari ha fatto il resto, perché sono venuti a mancare il presidio e la manutenzione del territorio. A questo si aggiunge la desertificazione del suolo, che va dalla cementificazione alla maggiore aridità, provocata dalla siccità, dall’aumento delle temperature, dagli incendi. Cosa dobbiamo aspettarci, quindi, in Lombardia? In regione, il territorio esposto al rischio frana è l’8,9% del totale, pari a 2.135 chilometri quadrati, tutti concentrati nell’arco alpino. I gradi di rischio sono diversificati, si va dalla soglia di attenzione al molto elevato: con i cambiamenti climatici in atto, è probabile che aumentino le aree a maggior rischio (oggi sono 1.572 chilometri quadrati), perché ci sono le condizioni per rendere più frequenti e probabili i movimenti franosi.

Ma quali sono le zone più esposte? Il report di Ispra rileva che le province con il maggior numero di superficie vulnerabile sono Como, Sondrio, Bergamo, Brescia, Lecco e Pavia per il 5,2%, mentre per numero di persone più esposte è Brescia a detenere il record negativo (ben 13.144 abitanti). Guardando al 2020, ultimo anno di cui è disponibile l’elenco dei principali eventi franosi in Italia, sui 122 e verificatisi a livello nazionale, 25 (il 20%) sono avvenuti in Lombardia, di cui 9 nella Bergamasca e 8 nella provincia di Varese. Tra gli eventi più gravi, quello dell’8 dicembre a Chiareggio, nella frazione di Chiesa di Valmalenco (Sondrio) dove una colata detritica, innescatasi a causa di precipitazioni brevi e intense, ha investito un’auto causando tre vittime e due feriti.

Prevedere dove possano accadere questi eventi è complicato, ma secondo Ispra, "il monitoraggio strumentale in situ è fondamentale per approfondire la conoscenza dei fenomeni franosi", come lo stato di attività, valutare i trend deformativi in atto, supportare la progettazione delle eventuali opere di stabilizzazione e verificarne l’efficacia nel tempo, per pianificare correttamente il territorio e per l’attivazione di procedure di allertamento della popolazione per la salvaguardia delle vite umane. In quest’ottica, il Centro monitoraggio geologico di Arpa Lombardia monitora in situ 77 frane, tra cui quella di Tavernola Bergamasca sul lago di Iseo, dove la grande frana in roccia di circa 2 milioni di metri cubi incombe sul Sebino.