Milano, 23 maggio 2014 - Colette ci regala tredici morsi di vita con i tredici articoli, scritti tra il 1938 ed il 1940 per “Marie-Claire”, oggi raccolti e tradotti con il significativo titolo “Mi piace essere golosa” (ed. Voland) . E della sua golosità, universale si potrebbe dire, ne erano consapevoli i letterati dell’epoca non meno dei molti lettori che la scrittrice aveva in tutte le fasce sociali. Avida di sapienza, di conoscenza, di gusti, di amore, Colette ha reso sensuale tutto ciò che ha scritto ed ha toccato, dai cibi alla parola, dai gesti all’abbigliamento, dalla decantazione della provincia francese allo spirito parigino che nella sua percezione era la quintessenza della trasgressiva bellezza a cui ispirava i suoi romanzi tra i quali “Chéri”, “La Vagabonda”, “Il puro e l’impuro”. Una provocatrice? E sia. Ma intelligente, raffinata, volitiva, curiosa che in questo volumetto emerge con tutta la forza di colei che non soltanto sa quello che vuole, ma è soprattutto consapevole del suo fascino di donna e di scrittrice.

LE NOTE pubblicate su “Marie-Claire” sono stupefacenti tanto per l’abilità descrittiva delle regioni più eccentriche che esplora quanto per la minuziosa cura nel disegnare il suo “piccolo mondo”. Colette ai fornelli, Colette davanti ai muri di Parigi, Colette e i fiori, Colette e le sue molte abitazioni, Colette e i bambini: di fronte al miracolo delle vita che ogni giorno riserva sorprese, la scrittrice si rivela indubbiamente “una donna tra le altre”, ma gravida di una innocente vista sul mondo tale da aprire gli occhi ai suoi lettori che non si accorgono di quanto, per esempio, in un semplice piatto della tradizione culinaria francese vi sia di ancestrale, vi si mescolino ingredienti e sentimenti, si proponga una storia che dalla materialità del palato si estende a tutti gli altri sensi. È il piacere delle cose autentiche che Colette comunica con la sua “golosità” che nelle pagine del volumetto si fa letteratura: il cibo e la scrittura, in verità, non sono una “specialità” soltanto sua, ma aver reso il primo essenziale nella sua narrativa, non meno che nella vita privata, è emblematico di un modo di concepire con semplicità ciò che si procura un piacere primario come mangiare e bere.

di Gennaro Malgieri