Milano, 13 luglio 2012 - Marco Paoloni, da promettente realtà nelle nuove leve dei portieri italiani a protagonista del calcioscommesse. Storiaccia infinita iniziata dal Minias, il calmante che secondo l’accusa proprio lui avrebbe somministrato ai suoi compagni della Cremonese per fiaccarne le forze e addormentarne gli spiriti nell’incontro con la Paganese. Un uomo che oggi è solo, circondato da rovine, con accanto poche persone, la madre, il difensore Emanuela Di Paolo.

Paoloni, si rende conto che rischia di passare alla storia come l’uomo del Minias? «Ho sempre sostenuto che non solo sono innocente. Di più. Se avessi voluto vendere la partita non avrei avuto bisogno del Minias. Mi sarei messo a non parare. Invece abbiamo vinto 2-0 e ho parato anche bene, sono stato il migliore in campo. Dalle carte che ho in mano si evince o se si preferisce esce il dubbio che il fatto sia avvenuto non nell’intervallo ma prima della partita».

Su cosa basa la sua convinzione?
«Venti giocatori sono stati interrogati e hanno dichiarato di avere bevuto acqua e tè, fra loro Gervasoni che ha bevuto solo acqua. Oltre a loro il massaggiatore. Tutti gli altri non hanno bevuto niente. Le bevande sono state fatte analizzare dalla Cremonese il giorno dopo. Erano pulite. Dalle analisi delle urine è uscita una bassissima percentuale
di Lormetazepam che è il principio attivo di 1200 farmaci fra cui il Minias. Allora dov’è l’alterazione? A parte che non sono capace di fare una cosa di nascosto che mi sgamano subito, c’è un terzo punto. La polizia dice che l’avrei fatto fra primo e secondo tempo. Ma i tre giocatori si sono sentiti male prima della partita. E poi come facevo a compiere l’operazione in 30 metri quadrati e con quaranta persone attorno? Impossibile».

Dalle carte esce un’associazione dedita alla manipolazione delle partite e alle scommesse. E lei era inserito.
«No. In casa ho sette volumi di atti giudiziari. Nelle intercettazioni io parlo solo con Massimo Erodiani. La sera dopo Inter-Lecce, quella che avevo detto che era un Over, hanno iniziato a chiamarmi persone che non conoscevo. Erodiani aveva girato questa mia sciocchezza, una millanteria, anche ad altri che non sapevo chi fossero».

Chi la chiamava? «Era Giannone a chiamarmi e a dirmi che avevo fatto perdere tre milioni ad altre persone. Gli ho risposto che non lo conoscevo e che non doveva prendersela con me».

E’ stato minacciato?
«Per due o tre mesi. Volevano che vendessi le partite o tirassi fuori i soldi. Sono venuti a Benevento a minacciarmi».

Perché non ha denunciato?
«Il mio più grande errore è stato non denunciare subito. Avevo paura paura delle sanzioni della giustizia sportiva perché scommettevo ed era vietato».

Era malato di scommesse?
«E’ una colpa. Come tutte le dipendenze. Oggi sono una persona più razionale, coerente. In quel periodo ero un bimbo. Facevo le cose senza pensare alle conseguenze. Ero dipendente e non mi accorgevo di esserci dentro. Dicevo tante bugie. Non ridevo più. Ero una persona malata che passava le giornate davanti al computer.

Come ne è uscito?
«In novembre sono andato in un centro di Bologna e ci sono rimasto una ventina di giorni senza mai uscire. Sono tornato a casa, ma tutti i giorni ero sostenuto da una psicologa. Se penso alle scommesse provo tanta rabbia. Mi hanno fatto perdere tutto, la famiglia, il lavoro, tante cose».

Marco Paoloni, oggi.
«La mia famiglia si è spaccata. Sono rimasto solo. Ho fatto tutto con le mie forze. Solo la mamma mi è stata vicina. Mia moglie mi ha lasciato per volontà dei suo genitori. Lo scorso agosto sua madre ha chiamato il mio difensore, l’avvocato Di Paolo perché convincesse mia moglie a lasciarmi. “Michela è grande e può decidere con la sua testa”, ha risposto l’avvocato. Mia moglie ha con la sua famiglia la stessa dipendenza che io avevo con le scommesse. Potrei vedere mia figlia tre volte la settimana. Invece è da lunedì che non la vedo e non la sento. La mia ex moglie me lo impedisce. Mia figlia per me è tutto. Questa situazione fa male anche a lei».

Come si mantiene?
«Non posso allenare perché non sono tesserato. Faccio lezioni private di calcio ai bambini. E’ un’attività che mi piace, c’è chi crede ancora in me».

E col calcio?
«Sono squalificato a vita. Dipende tutto dal penale. Se uscirò assolto si riaprirà pure il discorso sportivo».