Quel pianista che suonava sotto le bombe: a Crema arriva Aeham Ahmad

Concerto all’Auditorium Manenti per il pianista siriano noto perché suonava nelle strade di Yarmouk, Damasco, devastate dai bombardamenti

L'artista mentre trasporta il piano

L'artista mentre trasporta il piano

Crema, 21 gennaio 2017 - Dalla Siria a Crema. Questa sera alle 21 concerto all’Auditorium Manenti di Aeham Ahmad, il pianista siriano noto perché suonava nelle strade di Yarmouk, Damasco, devastate dai bombardamenti. Crema è l’unica tappa lombarda della tournée di questo giovane talento, premio Beethoven in Germania, che mischia musica classica e moderna, che suona e parla della sua patria massacrata, avvilita, prostrata. E spera.

«In tour sto portando le canzoni del mio primo album, “Music for hope”. Pezzi come “Come back”, “Yarmouk misses you” e “Take me home” parlano della perdita della propria casa e del desiderio di tornare nel proprio luogo di appartenenza Stasera suonerò anche alcuni brani di musica classica e fra un brano e l’altro racconterò al pubblico frammenti della mia storia, di quando ero ancora a Yarmouk, dell’orrore che ho visto. Ma anche del drammatico viaggio che ho fatto per arrivare in Europa e della mia nuova vita in Germania».

Sì, perché questo giovane è fuggito dalla Siria, dove lo volevano morto perché, con la sua musica, regalava attimi di serenità, restituiva la fiducia. Troppo pericoloso agli occhi di chi semina terrore. E così un giorno ha dovuto fuggire in Germania, dove è arrivato solo, ma dove è stato bene accolto e ha portato la moglie e i due figli.

«Adesso riesco a vivere del mio lavoro di musicista con mia moglie e i miei due figli e anche oggi ogni tanto, torno a suonare per strada. Provo un po’ a ripetere la stessa cosa che facevo a Yarmouk, provo a regalare un po’ di sollievo e un po’ di gioia agli altri profughi che sono in Europa. Li raggiungo per strada, spesso loro non parlano neanche la lingua del Paese in cui si trovano e la musica è un linguaggio universale che tutti capiscono e a tutti dona emozioni. E poi c’è la gente che passa: a loro spero che arrivi il mio messaggio di pace. Oggi la speranza è che attraverso la musica si possa diffondere questo messaggio di pace e amore fra le religioni. Per questo suono in Italia, come in altri Paesi. Cerco di suonare ovunque sia possibile perché credo che attraverso la mia musica e i miei racconti si possa diffondere sempre di più la conoscenza della situazione che c’è in Siria, della condizione dei profughi. È il mio primo tour italiano ma sono stato in Italia già lo scorso in novembre e ho suonato a Roma».

Come vede il futuro?

«Quest’anno uscirà il mio secondo album e anche la mia autobiografia. Ho il sogno di vedere mio padre in prima fila a un concerto. Non lo vedo da tre anni. È stato lui, che suonava il violino nonostante fosse cieco, a insegnarmi l’amore per la musica. A Yarmouk ho lasciato la cosa più preziosa, i miei genitori. Ho un fratello sparito da quattro anni, imprigionato chissà dove e del quale non sappiamo più niente».

Quando tutto sarà finito, cosa intende fare?

«Vorrei tornare a casa. Ricomincerei a insegnare musica e a preparare falafel. Sì, oltre a suonare, prima di andarmene distribuivo polpette per strada: i miei fratelli morivano di fame e adesso li troverei nelle stesse condizioni drammatiche. Come potrei non darmi da fare per aiutarli a sopravvivere?»