"Un anno di lotta A Cremona lascio il cuore"

Medico specializzando approdato al Maggiore da volontario: è diventato la mia casa, ora parto per Milano. Col magone

Migration

di Gabriele Moroni

"Non ero mai stato a Cremona. Non potevo sapere che poco alla volta, senza quasi che me ne accorgessi, l’ospedale sarebbe diventato la mia casa. Adesso che, dopo un anno, devo lasciarlo, me ne vado con il magone. Come quando ci si allontana dalla propria casa". Genitori di origine iraniana con cui vive a Torino, laurea in medicina conseguita nel 2018, Samin Sedghi Zadeh. Fino a un anno fa, prima che tutto cambiasse, si divideva fra libera professione e impegno di sanitario in un’azienda di Castel San Giovanni.

Dottor Zadeh, come è approdato all’ospedale Maggiore di Cremona?

"È stata un’infermiera di Piacenza a dirmi che cercavano medici negli ospedali. Ho risposto ai bandi indicando Piacenza per la vicinanza, Lodi perché ci lavora mio padre, Cremona perché sapevo dell’emergenza. Cremona ha subito risposto. Alle nove del mattino del 6 marzo ero a colloquio con il dottor Lorenzo Cammelli, direttore medico. Avrebbe voluto che iniziassi il giorno dopo. Ho chiesto tempo fino a lunedì per organizzarmi".

Che situazione ha trovato?

"Di piena emergenza. Era tutto un ospedale Covid. Mi hanno assegnato a Malattie infettive. Ricordo una sera verso le sette. Stavo attraversando sulle strisce pedonali per raggiungere il mio hotel quando mi è arrivata una telefonata del dottor Cammelli. “C’è un medico del pronto soccorso con la febbre alta. Devi andarci tu”. Ho provato a fare presente che avevo iniziato alle otto del mattino. La risposta? “O ci vai tu o non so chi mandare”. Era la settimana dei picchi di accesso al pronto soccorso".

L’ospedale allora non era ancora la sua casa...

"Lo è diventata. Qui mi sono sentito accolto, apprezzato, messo nelle condizioni di esprimere il mio potenziale professionale anche se ero un ragazzo di origine straniera e non avevo specializzazione. Ho visto ognuno fare il suo dovere, dalle figure apicali dell’ospedale a quelle più normali ma non per questo meno importanti. Ho visto l’amicizia e l’affetto fra le persone perché questo non è un ospedale dove si entra e si esce finito il lavoro. Questo fa casa".

Si attendeva questa nuova ondata pandemica?

"Direi di sì. Sentendo anche il parere degli esperti, me l’attendevo più vicina a Natale. È evidente, palese, che è in corso la terza ondata. A Cremona si sta verificando un’impennata di quel grafico che siamo abituati a vedere in televisione. Non è la situazione tragica di un anno fa, ma è comunque pesante, con il trend dei contagi in rialzo. Allora Cremona e il suo ospedale sono stati aiutati da altri ospedali. Adesso siamo noi ad aiutare una città come Brescia che si trova in forte sofferenza".

E i medici?

"Dovrei dire che dopo un anno non se ne può più. Vale per i medici, gli infermieri, i laboratoristi. Non siamo robot. Non siamo assuefatti alla malattie, alla sofferenza, alla morte. Impossibile esserlo. C’è stanchezza, c’è sofferenza anche da parte nostra. Sentiamo la pressione. Si va al lavoro, si fa e si fa anche più del dovuto. Si torna a casa, nel mio caso in albergo. Vorresti avere un ristoro che potrebbe essere la palestra o la cena con gli amici. Oppure qualche giorno di pausa. Niente di tutto questo. È così da dodici mesi".

Cremona sarà la sua scelta professionale definitiva?

"Non lo sarà. Mi è arrivata, un po’ improvvisa, la notizia che sono stato accettato per la specializzazione in Igiene al San Raffaele, a Milano. La settimana prossima lascerò la mia “casa” cremonese. Non pensavo di essere tanto affezionato alle persone, ai posti. Me ne vado col magone. Sto salutando tutti. Sono un po’ di giorni che ho gli occhi lucidi. Il 14 marzo compirò gli anni. Pare un destino che li festeggi in albergo. Due anni fa a Castel San Giovanni, lo scorso anno a Cremona, quest’anno a Milano".