Morti in Rsa, "chiediamo giustizia"

Crema, associazione dei parenti delle vittime domani sotto la procura. "Nessuno ci ha mai convocato"

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di Pier Giorgio Ruggeri

Morti nelle Rsa a causa del Coronavirus, tanti, tantissimi. In provincia se ne stimano 1.214, nel Cremasco oltre 350, a Crema, nei due istituti della fondazione Benefattori, 140. E c’è una associazione, “Verità e giustizia“, formata dai parenti delle persone decedute, che chiede giustizia. A un anno dalla fondazione di questo comitato e a undici mesi dall’inizio dell’inchiesta aperta dalla procura, si chiede a che punto siamo e perché nessuno del comitato è mai stato ascoltato come persona informata sui fatti. Quindi, domani, alcuni associati saranno sotto la procura per manifestare tutto il loro dissenso e perorare la loro causa.

"Siamo il Comitato Verità e Giustizia Ospiti Fondazione Benefattori Cremaschi di Crema - riferisce il portavoce Antonio Macrì, - formato da cittadini parenti dei 140 deceduti, tra marzo e aprile 2020, nelle strutture Rsa Camillo Lucchi e nel Idr Kennedy, gestite dalla Fondazione. Un gruppo spontaneo, nato dalla voglia di condividere il nostro dolore, confrontare le nostre esperienze, le nostre testimonianze, su quanto accaduto ai nostri cari. Abbiamo l’esigenza di comprendere ciò che non ha funzionato, capire i motivi dei troppi decessi, perché siamo i primi a pretendere chiarezza, per dare dignità al sacrificio dei nostri parenti". E a quasi un anno dall’apertura dell’inchiesta il silenzio su quanto successo è assordante, tanto che il comitato ha deciso di farsi sentire. "Dire che si è fatto tutto il possibile per garantire le protezioni e le cure dei nostri parenti anziani - riprende Macrì - è fondamentalmente sbagliato, o quantomeno se fosse veritiero, fa emergere un’inadeguatezza gestionale sbalorditiva, che per le testimonianze che continuamente raccogliamo, tramite le storie delle degenze, raccontate e condivise da noi parenti, ci permettono di comprendere meglio quanti errori e quante negligenze siano state commesse. Emerge che ci sia stata la mancanza di un vero e proprio coordinamento della gestione complessiva dell’emergenza, senza un piano di azione e programmazione, nessuna prevenzione, adottando provvedimenti tardivi. Lasciando, per quanto siamo venuti a conoscenza, preposti e operatori delle strutture, nell’incertezza più assoluta su cosa fare e come farlo. A pagarne il prezzo più alto, con la vita, sono stati i nostri cari, trattati come interessati da una semplice influenza, impossibilitati a essere isolati e infine morti".