Casalmaggiore, il dottor Pedrazzini: "Avevamo tanto e ci lamentavamo, ora adeguiamoci"

Medico rivede i figli dopo due mesi di divisione forzata: "Qualche sacrificio non è il finimondo, possiamo farcela"

Il dotto Pedrazzini non ha smesso di operare anche in pieno Covid (Foto Ricci)

Il dotto Pedrazzini non ha smesso di operare anche in pieno Covid (Foto Ricci)

Casalmaggiore (Cremona), 18 maggio 2020 -  «Erano pazienti anziani , nella stragrande maggioranza con il femore fratturato per una caduta. Non sapevano di essere stati contagiati dal Covid-19. Li operavamo. É stato così per più di due mesi, da febbraio. Mia moglie e io abbiamo rivisto i figli solo qualche giorno fa". Alessio Pedrazzini è dal 2016 il responsabile dell’Unità operativa di ortopedia dell’ospedale Oglio Po di Casalmaggiore. È specializzato in chirurgia della mano, microchirurgia, idrologia medica. Fra i suoi interventi, oltre a quelli su sportivi e campioni di rugby, ciclismo, superbike, pugilato, volley, rally, un bambino che ha recuperato l’uso delle mani schiacciate, un pianista che ha potuto ritornare alla musica dopo la ricomposizione di un polso fratturato in più punti, l’operazione al femore di una donna di 105 anni.

Quando l’emergenza Covid è entrata nel suo reparto? "Il primo allarme è stato il 21 febbraio. Il giorno dopo il direttore di presidio ha comunicato che l’epidemia era esplosa in modo virulento, da Codogno a Cremona. Ferie sospese. Tutti precettati. Da me dovevamo operare solo le urgenze, fratture e lussazioni. Da allora a oggi abbiamo fatto 85 interventi d’urgenza, continuando a operare, ovviamente, anche i pazienti non Covid".

É stata subito emergenza? "Immediata. Con il trascorrere dei giorni il pronto soccorso si è saturato. Nei due reparti dell’Unità operativa di ortopedia si è subito posta la necessità di proteggere sia noi, sia i ricoverati. La maggioranza dei pazienti che ci arrivavano erano anziani con il femore fratturato, molti da case di riposo".

I contagiati dal Covid lo sapevano? "No. Per quelli che avevano difficoltà respiratorie la conferma venivano dalla tac, per gli altri a rivelarlo erano i tamponi".

Per i pazienti contagiati come siete intervenuti? "Abbiamo separato fisicamente pazienti sani e pazienti malati di Coronavirus e preso tutte le precauzioni per i malati, per noi medici, per il personale. Questo con tutte le difficoltà legate alla violenza spaventosa del virus".

E per gli interventi? "Nella sale operatorie abbiamo realizzato un percorso Covid. Non si può uscire andando all’indietro ma solo procedendo in avanti. Si esce dopo essersi cambiati del tutto e disinfettati. Operavamo e operiamo tuttora con doppio camice, doppio paio di guanti, doppia cuffia, doppi calzari, occhialini. Non s’incrociano mai due pazienti. Dopo ogni intervento la sala operatoria viene sanificata. Gli infermieri del reparto e del comparto operatorio sono straordinari. Dopo l’intervento il paziente viene seguito anche dagli internisti della Medicina che valutano la patologia Covid".

Com’è cambiata la sua vita privata? "Un collega ortopedico abita a Parma. Ha deciso di isolarsi dalla famiglia prendendo alloggio vicino a Casalmaggiore. Abito a Parma anch’io. Mia moglie Alessandra è anestesista all’Ospedale Maggiore. Abbiamo due figli, un maschio che ha quasi 16 anni e una ragazza di 13. Ho parlato con mia moglie verso le due del pomeriggio del 24 febbraio. Ci siamo interrogati sul da farsi. Abbiamo deciso di portare i ragazzi dai miei genitori a Luzzara, novantenni ma autosufficienti. Mia moglie ha fatto le valigie e li ha accompagnati. Li ho rivisti da pochi giorni, il 6 maggio. Con mia moglie ogni giorno è la stessa vita. Prima di rincasare ci togliamo le scarpe e infiliamo i vestiti in un sacco. E poi la doccia".

Cosa le lascerà tutto questo? "Prima vivevamo nella normalità. Non ci bastava, non ci accontentavamo. Invece era già tanto, tantissimo".