Como, 19 luglio 2011 - Parlare di questa storia gli fa male. Malissimo. Anche perché l’ultimo atto ufficiale, con le lacrime agli occhi, lo ha compiuto pochi giorni fa: via dall’Aia, via dal mondo degli arbitri con cui ha condiviso per circa tre lustri momenti bellissimi e di grande infelicità. Luca Marelli, 39 anni, da alcuni giorni si dedica solo alla professione di avvocato, è titolare di un avviato studio legale a Como. In quelle stanze ha combattuto per mesi con un fascicolo pesante 7 chilogrammi la sua dura battaglia contro chi non lo voleva più, alla ricerca almeno di un perché. Prima le dismissioni, poi il deferimento, quindi la squalifica, infine il tentativo di rientrare dalla porta di servizio. Fino alla decisione di dire basta, e sfogarsi.
 

Partiamo dai giorni in cui appese il fischietto al chiodo.
«Primavera del 2009, ricordo bene. Collina in due anni e mezzo non era mai venuto a vedermi tranne in quell’occasione, Livorno-Triestina 0-1, nel finale della stagione. Fu la penultima partita della mia carriera, una gara senza contestazioni eppure l’allora designatore con me fu durissimo. C’è un filmato in cui si vede un suo labiale alla fine del primo tempo rivolto ad un collaboratore della Can: “Marelli basta”. Non solo: a fine partita non mi parlò, mentre il giorno dopo a Coverciano mi disse che ne avevo combinate di tutti i colori senza entrare nei particolari».
 

Per lei fu la bocciatura definitiva...
«In realtà avevo capito da mesi che sarei andato a casa, Collina ci aveva provato già l’anno prima, facendomi dirigere poche partite nella massima serie. Evidentemente non gli stavo molto simpatico. E quando mi diedero una partita di A ininfluente avendo già deciso il mio destino, glielo dissi in faccia: “E’ un contentino”. La cosa che più mi è dispiaciuta è stata però un’altra: il 30 giugno chiamarono tutti gli altri da dismettere tranne il sottoscritto. Fui avvisato con una telefonata il giorno dopo».
 

Senza spiegazioni o motivazioni?
«Ho provato a chiedere copia dei “rapporti” sul mio operato, la legge sull’accesso ai dati personali me lo consentiva. Chiesi pure le graduatorie finali, ma nulla. Rispondevano che l’Aia non era attività di pubblico interesse. Ma la famosa “trasparenza” invocata da Nicchi? Perché non darmi i rapporti se non c’era nulla da nascondere?»
 

Poi il deferimento..
«Che ancora non mi spiego. Gennaio 2010, ero a Seregno con gli arbitri lombardi perché c’era Nicchi. Qualcuno riferì al presidente del Comitato Regionale che io avrei pronunciato una frase molto offensiva nei confronti di Nicchi. Falso: certe cose non le ho mai dette anche se della persona in questione non ho un giudizio positivo. E pensare che l’avevo sostenuto per tutta la campagna elettorale. Poi quello che è successo dopo mi ha fatto cambiare idea».
 

E qui la seconda mazzata...
«Venni deferito, provai a difendermi con 219 capitoli di prova indicando 22 testimoni e allegando 30 documenti. Tutto inutile, davanti alla Procura Arbitrale ho subìto un processo iniquo senza che i miei documenti fossero accolti. Chiesero prima una squalifica di 18 mesi, poi ridotta a 7. Ho finito di scontarla a gennaio, non sono uscito dall’Aia ma ho continuato a fare corsi ai ragazzini a titolo gratuito. Ora però basta, mi hanno ucciso la passione. Il sistema mi ha deluso, io per restare nell’Aia ho rinunciato a contratti televisivi e ad incarichi offerti da club calcistici»
 

Si è mai chiesto cosa ci sia dietro la sua vicenda, perché anche Nicchi le ha voltato le spalle?
«Non lo so. O forse immagino: chiesi a Nicchi un colloquio quando seppi che mi avrebbero voluto dismettere, e in cambio mandarono Collina a giudicarmi. Solo dopo Nicchi mi ricevette, ma era troppo tardi. Avevo capito che la cosa non era piaciuta. E infatti Collina mi disse che non avevo avuto un’annata positiva e che la mia carriera si era conclusa. A Livorno era venuto per “segarmi”. Ma io avevo chiesto solo trasparenza, il fatto che un arbitro conoscesse i voti era normale. Tranne che per Collina...».