Riapertura impianti: come cambierà il turismo dello sci

L’allarme degli esperti del Cai: cambiamento climatico e impianti costosi da traslocare, meglio il modello lento delle ciaspole

neve in montagna

neve in montagna

Como, 6 febbraio 2021 - Se non vuole estinguersi, lo sci deve cambiare pelle. Questa volta il Covid non c’entra, a rendere necessario un cambio di paradigma sono le condizioni climatiche estreme: inverni troppo caldi e senza neve sotto i duemila metri di quota, con la difficoltà di mantenerla anche con gli impianti artificiali. Salire più alto non si può, oltre che distruttivo per l’intero ecosistema alpino sarebbe antieconomico. A dirlo non è qualche Cassandra ambientalista, ma il Cai, il Club Alpino Italiano, che nei mesi scorsi ha commissionato un serissimo studio sulle prospettive dell’industria dello sci in rapporto ai cambiamenti climatici. I risultati sono inequivocabili: occorre uscire dalla monocultura dello sci, così come stanno cercando di fare anche Austria, Slovenia, Svizzera e Francia che con l’Italia si contendono il comprensorio alpino che a fronte del 20% dell’offerta di piste e impianti di risalita a livello mondiale intercetta l’80% degli appassionati.

«Le Alpi ospitano annualmente circa 150 milioni di presenze e la frequentazione stagna ormai da almeno un ventennio attorno a quella cifra – recita lo studio – Circa due terzi degli sciatori sulle Alpi provengono da paesi non alpini, per la maggior parte da altri paesi europei. Tra le stazioni in vetta alla classifica della frequentazione a livello mondiale, si trovano sette grandi comprensori italiani con più di 1 milione di presenze annue, tra cui Campiglio-Dolomiti di Brenta e Gardena-Alpe di Siusi che superano i 2 milioni". L’Italia ospita circa 200 stazioni di sci, per lo più di piccole e medie dimensioni. Nonostante gli ingenti investimenti avvenuti negli anni 2000, soprattutto al fine di aumentare la capacità degli impianti di risalita, il numero di presenze annue si è stabilizzato da almeno un decennio tra 25 e 30 milioni. Tali cifre rappresentano circa un quinto della frequentazione alpina totale, a fronte dei 50 milioni di presenze di Francia e Austria e i 25-30 milioni della Svizzera.

«Secondo le stime, nel decennio 2010-2019, il numero di italiani praticanti un’attività sportiva invernale in montagna è aumentato di quasi il 16%, attestandosi nel 2019 attorno ai 4 milioni – concludono gli esperti del Cai - Il numero degli utenti delle piste rappresenta i tre quarti del totale, quasi 3 milioni nel 2019, +11% dal 2010), mentre i praticanti sport che non utilizzano piste da discesa ovvero sci di fondo, scialpinismo, slitta rappresentano un quinto del totale, ma con una crescita nel decennio 2010-2019 di quasi il 30%, per raggiungere le 836.000 unità. Nella stagione invernale 2018-2019, il fatturato del comparto italiano degli sport invernali è stato pari a 10,4 miliardi, con un calo dell’11%". La soluzione sta tutta in questi numeri: se non la si vuole distruggere meglio puntare a un modello più lento, barattando gli skilift per le ciaspole.