Notte fra i disperati di Como: basta niente e scatta la violenza

A pochi giorni dall’aggressione a una donna che viveva in una cabina telefonica il popolo dei disagiati si è sparpagliato per la città: tra situazioni a rischio ed esempi di solidarietà

Allarme violenza a Como

Allarme violenza a Como

Como - Due notti dopo l’aggressione di una donna di cinquant’anni, più o meno alla stessa ora, non c’è quasi più nessuno che dorme nel girone dei disperati di Como. Nessuno sotto il porticato di San Francesco, in inverno la casa di tanti senza dimora e teatro di sgomberi a colpo di idrante, quando comandava la giunta Landriscina. Intorno a mezzanotte davanti alle quattro cabine dove è avvenuta la violenza sessuale passeggiano alcune ragazze del Nord Europa, appena uscite da un locale del centro. Poco più in là, il parchetto che in alcuni periodi dell’anno si trasforma in uno “slum” e dove l’odore è sempre acre, è abitato solo da quattro persone. Due ragazzi si sono stesi sulle panchine, sono visibilmente alterati. Sembrano avercela con qualcuno e inveiscono verso un interlocutore immaginario. Uno si alza di scatto e percorre ossessivamente il perimetro del parco avanti e indietro e attorno alle cabine. È arrabbiato, sparisce dietro al chioschetto dall’altra parte della strada dove alcune persone sono sedute a bere per poi riapparire facendo ritorno esattamente nel punto dove era prima. L’altro è circondato da bottiglie di birra vuote e parla da solo. Sono in compagnia di due anziani completamente avvolti nelle coperte. Uno di loro è un vecchietto di Napoli che vive all’aperto a Como da tantissimi anni. È un personaggio conosciuto dai residenti. Sembra non accorgersi nemmeno dei due ragazzi che si sono stesi proprio accanto e continuano a parlare, nervosi, ad alta voce.

Nazionalità, lingue e provenienza degli abitanti della strada di Como sembrano centrare poco con gli episodi di violenza. Il pericolo si percepisce piuttosto attraverso il disagio psichico di alcuni dei disperati che vivono sulle panchine. Una parola, un’incomprensione, magari alimentata da alcol e droga e si degenera. In queste sere gli altri disperati di Como si sono sparpagliati nei vicoli e negli angoli nascosti della città. C’è chi si è sistemato nella zona dell’autosilo dietro al tribunale, dove era già sorta una tendopoli numerosa, poi sgomberata. Qualcuno si sistema ancora sui basamenti di marmo dei finestroni alla Stazione San Giovanni. Qui ci sono Maurizio, nato a Monza, fa avanti e indietro con la Svizzera, un cartone come materasso, lo zaino come cuscino e una pila così di romanzi e poi c’è Antonio, pugliese, invalido civile. Di giorno le cure per il diabete all’ospedale Valduce, di notte dorme all’aperto. Hanno le idee chiare la situazione paradossale che vivono i disagiati di Como. "È da decenni che va avanti questa situazione e qui a volte succedono cose terribili, come l’altra notte – spiega Maurizio –. Ci sono quelli che hanno scelto di vivere per strada, ma ci sono tanti sbandati che se ne approfittano. Si appoggiano alle mense per mangiare poi si ubriacano e si prendono a bottigliate. Fanno casino e diventano pericolosi. Ma evidentemente c’è qualcuno che fa finta di non vedere, perché va avanti da tantissimo tempo".

"Pensavano di risolvere la situazione con un getto di idrante per farli sgomberare ma poi la stessa situazione si ripresenta da un’altra parte – incalza Antonio – . Il problema si dovrebbe risolve invece con la civiltà, che non vuol dire severità e repressione, ma inserimento nella società e magari anche nel mondo del lavoro per chi vuole darsi da fare. Assistenza e dignità per chi ha scelto la strada. Ce ne sono tanti che affronterebbero un percorso di reinserimento se solo qualcuno li prendesse in carico. Como è una città solidale, in tanti si danno da fare, ma queste persone violente invece rappresentano un danno anche per la città e servono controlli affinché chi frequenta il centro si possa sentire al sicuro. E anche chi dorme per strada e non dà fastidio a nessuno si deve sentire al sicuro". Nel difficile rapporto di convivenza fra la città-vetrina e il popolo dei disperati che occupano i suoi anfratti ci sono anche tante storie di solidarietà. L’impegno della Caritas e di tanti volontari che assistono i senza dimora, l’esempio di don Roberto Malgesini (prete di frontiera ucciso proprio da una persona a cui dava assistenza), o la storia di una donna di circa cinquant’anni, la stessa età della donna aggredita nella cabina, e che è stata adottata dai clienti di un parcheggio privato utilizzato da tanti che lavorano in centro, nella zona di viale Innocenzo. Una complicità nemmeno sussurrata, ma che ha smosso diversi cittadini che si sono dati da fare, soprattutto nei mesi più freddi, per recuperare lo stretto necessario per la sopravvivenza di questa donna, che ha scelto come casa un angolo buio dei piani interrati di un grande silos. Una presenza schiva, invisibile di giorno, che non chiede aiuto e non vuole essere avvicinata, ma che ha fatto capire di non aver bisogno di cibo, semmai di qualche vestito. Ed è così che qualcuno, preso da compassione, ha superato la difficoltà iniziale, ha cercato un contatto con questa persona che vive ai margini, sola e quasi nascosta, e si è impegnato per recuperare alcuni indumenti da lasciare in un angolo del parcheggio a sua disposizione in modo che la donna li possa prendere senza farsi vedere. "La sua casa è un posto orrendo - racconta Isabella, una delle persone che l’hanno aiutata -. Vive sulle scale in un angolo, dove c’è un piccolo spazio, ma almeno è protetta dal freddo e dai pericoli. Fossi in lei avrei una paura tremenda. Ma è meglio della strada o di una cabina".