Somala ottiene giustizia: la calunnia era falsa, la violenza sessuale vera

Il connazionale che aveva fatto da interprete aveva mentito in Questura proteggendo l’aggressore

in tribunale

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Como, 24 febbraio 2021 - In Questura, a denunciare la violenza subita appena arrivata in Lombardia, si era presentata con un connazionale. Un uomo che si era reso disponibile a fare da tramite tra la sua lingua, il somalo, e l’italiano di cui non conosceva nemmeno una parola. Ritrovandosi così a processo per calunnia, a causa delle informazioni false che quel finto amico, aveva fatto mettere in denuncia a insaputa di lei. Cosa è realmente accaduto negli uffici della Squadra Mobile di Como il 27 agosto 2018, quando la donna, una ventiseienne fuggita dalla Somalia, si era presentata a denunciare una violenza sessuale, è stato ricostruito solo durante il processo che si è appena concluso a Como, al termine del quale è stata assolta dall’accusa di calunnia. Tre anni fa, pochi giorni dopo lo sbarco in Sicilia, aveva raggiunto una connazionale a Mortara, che le aveva dato ospitalità. Qui aveva conosciuto un somalo della sua stessa età, che l’aveva violentata.

Violenza che aveva avuto un’ulteriore conseguenza: una gravidanza, da cui era nato un bimbo che ora ha due anni. Ma quando si era rivolta alla polizia, accompagnata dal conoscente che si era offerto di fare da interprete, quest’ultimo aveva fatto riportare in denuncia che l’aggressione era avvenuta in un giardino pubblico di Milano. Forse per salvaguardare l’aggressore, che lui conosceva, o per allontanare le attenzioni dalla casa di Mortara in cui viveva anche lui. Identificare il violentatore non era stato difficile, dal momento che lei aveva fornito il suo nome e numero di telefono. Dalle indagini, e in particolare dallo sviluppo dei tabulati telefonici, era però emerso che quel giorno il presunto responsabile dell’aggressione si trovava da tutt’altra parte. Così lui era stato scagionato, lei accusata di calunnia.

Difesa dall’avvocato Davide Brambilla, è andata a dibattimento, davanti al giudice monocratico Maria Luisa Lo Gatto. Questa volta, ad affiancarla, c’era l’interprete dalla casa di accoglienza che la ospita assieme al suo bimbo: così, durante il processo, è emersa la storia vera. Innanzi tutto che quella violenza era avvenuta a Mortara. Ma soprattutto che la donna, negli uffici della Questura, non aveva mentito. E’ stata quindi completamente assolta dall’accusa di calunnia, e gli atti mandati a Milano per procedere nuovamente nei confronti del violentatore, ma anche di quel presunto benefattore che si era offerto di darle una mano, facendo scagionare un colpevole e mettendo nei guai la vittima.