Como, vessazioni alla moglie e al figlio: condannato a 8 anni di carcere

Impediva alla donna di uscire liberamente e la controllava con una telecamera

In Tribunale ascoltate le testimonianze delle persone che avevano raccolto i racconti

In Tribunale ascoltate le testimonianze delle persone che avevano raccolto i racconti

Como, 10 luglio 2020 - Continue denigrazioni, minacce, vessazioni alla moglie e al figlio di 6 anni, chiamato "stupido senza cervello". Botte e intimidazioni alla donna utilizzando anche un coltello, legnate in testa, violenze sessuali ripetute, durante sei anni di una convivenza drammatica. Il divieto di uscire liberamente di casa o la punizione di rimanere sul pianerottolo con il bimbo piccolo, incurante del pianto. Condotte che ieri hanno portato alla condanna a 8 anni e 6 mesi di carcere per maltrattamenti e violenza sessuale per un uomo di 44 anni, finito in carcere a ottobre e ora agli arresti domiciliari in una stanza dell’Hotel Terminus, di cui è dipendente.

La sentenza , letta dal Tribunale Collegiale di Como, è stata lievemente inferiore ai 10 anni chiesti dal pubblico ministero Massimo Astori, a fronte di una richiesta di assoluzione invocata dalla difesa, avvocato Rita Mallone, che ha cercato di convincere i giudici che quei racconti resi dalla donna, non avevano alcun fondo di verità, così come nessun riscontro. In Tribunale sono state ascoltate le testimonianze delle persone che avevano raccolto i racconti della vittima, prima che si rivolgesse al Telefono Donna di Como, dove le operatrici l’avevano aiutata a sporgere denuncia.

Conoscenti e vicine di casa con cui si lamentava dei maltrattamenti che subiva, e che hanno fornito una serie di riscontri alla ricostruzione emersa dalle indagini. Fatti accaduti dal 2013 al 2019, iniziati quando il bimbo era ancora piccolo, ma denunciati solo negli ultimi tempi, quando la donna era ormai stremata e in grave difficoltà, e si è decisa a chiedere aiuto. Non riceveva denaro per i suoi bisogni, come il vestiario o il cibo, le era vietato fare fotografie con altre persone, ed era controllata da una videocamera appositamente installata in casa dal marito. "L’anno scorso – ha raccontato una vicina di casa – mi ha fatto molta pena, perché dai suoi occhi vedevo che aveva paura di questa persona. Sentivo piangere lei e il bambino… Io non ero in grado di aiutarla, ma le avevo consigliato di chiamare i servizi sociali".