Strage di Erba, Olindo e Rosa giocano l'ultima carta: "Indagate sullo spaccio"

La testimonianza di un tunisino e alcune deposizioni nel dossier della difesa Romano punta alla revisione: "È stato più facile incastrare me e mia moglie"

Olindo Romano e Rosa Bazzi

Olindo Romano e Rosa Bazzi

Quelle che la difesa considera nuove prove. Due testimonianze. E davanti la strada della revisione, tutta in ripida salita, ma obbligata. Olindo Romano e la moglie Rosa Bazzi si apprestano a percorrerla assistiti dai loro difensori, Fabio Schembri, Nico D’Ascola, Luisa Bordeaux e Patrizia Morello. Romano nel carcere di Opera, la Bazzi in quello di Bollate, scontano un ergastolo definitivo con l’accusa di avere ucciso Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, di due anni e mezzo, la madre di Raffaella, Paola Galli, e la vicina di casa Valeria Cherubini. Un massacro, una mattanza spietata a coltellate e colpi di spranga.

Era l’11 dicembre del 2006, a Erba. L’Italia che già avvertiva l’avvicinarsi della tregua natalizia fremette di orrore per il fatto e di pietà per le vittime. I coniugi confessarono e in seguito ritrattarono. La difesa dell’ex netturbino e dell’ex colf si è impegnata in una tenace lavorio, fino a costruire alcuni capisaldi su cui poggiare la richiesta di un nuovo processo. La testimonianza di un tunisino. Abdi Kais, amico di Azouz, frequentava ogni giorno l’appartamento di via Diaz che Raffaella divideva con il marito e il figlioletto e dove avvenne la strage. Faceva parte del gruppo che raccoglieva i due fratelli di Azouz e altri, in dura concorrenza per lo spaccio di stupefacenti con una consorteria di marocchini. Ci furono scontri, episodi violenti, come gli accoltellamenti di un fratello di Azouz e dello stesso Kais, e in un tentativo di introdursi nell’abitazione dei Marzouk, a Merone. Secondo Kais, i proventi dello spaccio venivano custoditi nell’alloggio di Raffaella e Azouz. I marocchini avrebbero anche individuato il luogo dove veniva occultata la sostanza stupefacente.

Quando, dopo essere stato arrestato insieme con gli altri, Abdi Kais apprese del massacro, il suo primo pensiero fu quello di metterlo in relazione a questa faida. Si meravigliò anzi che Azouz non ne avesse mai fatto cenno. La testimonianza di un ex maresciallo dei carabinieri, all’epoca in servizio a Como, che partecipò alle indagini. Ha garantito ai difensori che tutte le operazioni di intercettazioni ambientali si svolsero regolarmente e senza interruzioni. Secondo la difesa dei Romano mancano invece alcune intercettazioni e sono quelle dei giorni in ospedale in cui Mario Frigerio, marito di Valeria Cherubini, unico sopravvissuto, fece il nome di Olindo Romano. Prima di indicare il vicino di casa, aveva invece descritto un personaggio con caratteristiche somatiche diverse, carnagione olivastra, occhi scuri, fronte bassa. La ricostruzione della strage. Le grida di aiuto di Valeria Cherubini vennero raccolte da due vicini, i primi soccorritori, richiamati dall’incendio in casa di Raffaella Castagna. La donna ritrovata nel suo appartamento, sopra quello di Raffaella, accovacciata accanto a una finestra. Quindi, argomentano i difensori dei coniugi Romano, la Cherubini era viva, invocava soccorso. Inseguita dall’assassino, riuscì a risalire in casa e lì venne raggiunta e uccisa. Fu l’ultima vittima.

Se i Romano , compiuto il massacro, lordi di sangue, fossero scesi nel cortile, ormai in allarme, sarebbero stati sicuramente notati e riconosciuti. Chi aveva compiuto l’eccidio (un solo o più d’uno) scelse un’altra via di fuga, dai tetti o dal terrazzino di casa Castagna. Due testimoni parlano dell’avvistamento di tre uomini (due all’apparenza extracomunitari), rimasti sconosciuti. Olindo Romano, oggi sessantenne, ha rilasciato alcune dichiarazioni all’Adnkronos. "Non so perché – ha detto fra l’altro – non sia stata approfondita la pista dello spaccio di droga, continuo a pensare che sia stato più semplice incastrare due persone come noi non sveglissime e inconsapevoli di quello che ci stava piombando addosso".