Ammette la premeditazione, niente ergastolo per il killer di don Roberto Malgesini

Ridha Mahmoudi non si è mai pentito dell'omicidio, ma confessando di aver comprato il coltello per uccidere il prete ha ottenuto una condanna a 25 anni invece dell'ergastolo

Don Malgesini

Don Malgesini

Como - L’ammissione di aver acquistato da mesi il coltello utilizzato per uccidere don Roberto Malgesini, e di averlo destinato esattamente a quello scopo, è valsa a Ridha Mahmoudi lo sconto di pena. È sostanzialmente questo il ragionamento che ha spinto di giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano a ridurre la pena dall’ergastolo a 25 anni di reclusione. La Corte d’Assise di Como, nella sentenza di primo grado letta il 28 ottobre dello scorso anno, aveva escluso ogni beneficio a favore del 55enne tunisino che il 15 settembre 2020 aveva accoltellato a morte il sacerdote i n piazza San Rocco.

Un delitto per cui i giudici comaschi non gli avevano riconosciuto alcun beneficio, anche in considerazione dei suoi numerosi precedenti penali e del comportamento processuale "negativo, sintomatico di totale mancanza di resipiscenza" per aver più volte dichiarato di "non essere dispiaciuto per la morte di don Malgesini perché era un peccatore". I giudici di secondo grado hanno tuttavia fatto un ragionamento differente, pur partendo da un analogo riconoscimento dell’aggravante della premeditazione.

Subito dopo il delitto, Mahmoudi aveva rivendicato di esserne l’autore, ma anche "con condotta decisamente inusuale – dicono i giudici – aveva anche confessato l’aggravante". Agli agenti della Squadra Mobile aveva infatti spiegato di aver acquistato quel coltello già da luglio, e di averlo portato con sé tutto quel tempo, con il solo obiettivo di commettere l’omicidio. "Senza questa ammissione – prosegue la sentenza – nessuna contestazione di premeditazione sarebbe mai stata sostenibile al dibattimento". Da qui, il riconoscimento delle attenuanti generiche, che devono essere applicate quando dall’imputato arriva "un fondamentale indicatore" senza il quale la ricostruzione del fatto non avrebbe coinciso con quanto realmente accaduto. "Ed è certo – conclude la sentenza – che in assenza di quelle ammissioni, nessuna circostanza aggravante sarebbe mai stata configurabile".